ACQUA E LIBERTÀ
La lunga marcia per la ripubblicizzazione del servizio idrico
Nicola Capone
(Segretario generale delle Assise della
città di Napoli e del Mezzogiorno d’Italia)
Se noi volessimo dare una definizione
non professorale dei diritti umani, potremmo dire che questi sono ciò
che garantiscono all'uomo di restare fedele alla sua natura. E l'essenza
della natura umana è la libertà.
Togliete all'uomo la possibilità di
autodeterminarsi e lo avrete messo in catene, lo avrete fatto triste e
corrotto, col cuore guasto. Il Lavoro, la formazione, la salute, i beni
essenziali sono una garanzia per il destino di una persona libera. Se
questi diritti vengono trasformati in semplici bisogni da soddisfare, in
merce da mendicare o barattare allora avremo gettato nella disperazione
milioni di esseri umani.
Nel nostro paese abbiamo mercificato il
bene più essenziale: l'acqua! Abbiamo dato a questa “sostanza” rilevanza
economica. Abbiamo tolto ai comuni la possibilità di gestire
direttamente l'erogazione di questo diritto mediante un’Azienda
municipalizzata. Abbiamo costretto un intero Paese a cedere a grandi
multinazionali una delle sue più importanti risorse. Abbiamo eretto la
concorrenza a principio universale.
Tutto ciò è stato reso possibile
mediante vere e proprie leggi criminose.
Nel 1990 con l’approvazione della legge
n. 142 venne profondamente modificato lo statuto giuridico dell'Azienda
pubblica o municipalizzata, istituita da Giolitti nel 1903. Queste
modifiche furono presentate come indispensabili, perché - si disse
allora - vi era la necessità di recepire la normativa europea.
È utile esaminare quali furono le novità
introdotte allora e quali ulteriori, decisive modifiche sono state
apportate negli anni a seguire.
L'Azienda municipalizzata agiva
all'interno della Pubblica Amministrazione, era diretta emanazione di
essa, agiva, dunque, come una sua interna articolazione. Dopo il 1990
l'azienda pubblica diventa “speciale”, assume, cioè, personalità
giuridica, divenendo un soggetto giuridico terzo rispetto all'ente
pubblico, e – cosa ancora più importante – acquista autonomia
imprenditoriale. In questo modo la nuova azienda è autorizzata ad agire
come un imprenditore privato, avvalendosi del diritto privato e puntando
alla copertura dei costi con i ricavi. D’ora in poi, per sua stessa
natura, l'Azienda che gestisce un servizio pubblico deve far fruttare
dei ricavi dalla gestione - in questo caso - dell'acqua. Dunque, pur
restando un ente strumentale della Pubblica Amministrazione, il nuovo
statuto giuridico proietta l’azienda speciale fuori dal recinto della
Pubblica Amministrazione e l’abilita a perseguire una propria politica
industriale attraverso una logica privatistica.
Ma questo non è tutto: con specifico
riferimento al servizio idrico, con la legge Galli del 1994, la tariffa
– “corrispettivo del Servizio Idrico Integrato” – non deve solo
limitarsi a rendere possibile la copertura dei costi con i ricavi, ma
deve addirittura “remunerare il capitale investito”.
Questa disposizione, oggi trasfusa
nell’articolo 154 del Codice Ambientale, D. Lgs. 152 del 2006, recita:
«La tariffa [...] è determinata
tenendo conto della qualità della risorsa idrica e del servizio fornito,
delle opere e degli adeguamenti necessari, dell'entità dei costi di
gestione delle opere, dell'adeguatezza della remunerazione del capitale
investito».
Tutta la legislazione successiva non è
che uno sviluppo progressivo, potremmo dire una razionalizzazione, dello
stesso principio: dalla Bassanini (Legge 127 del 1997) – che introduce
A diritto vigente, la sentenza n. 325
del 2010 della Corte Costituzionale sui servizi pubblici locali
impedisce finanche di affidare la gestione del servizio idrico ad una
azienda speciale, per cui ci troviamo dinanzi all’assurdità che solo una
Società per azioni può gestire l'acqua.
Sul diritto alla vita, che è di tutti,
si è imposto il diritto alla “remunerazione del capitale investito”.
Per queste ragioni mediante referendum
si chiede l'abrogazione di due vere e proprie metastasi giuridiche:
l'articolo 23 bis del cosiddetto Decreto Ronchi, che obbliga gli enti
locali a privatizzare i servizi pubblici e l'articolo 154 del codice
ambientale, che impone la “remunerazione del capitale investito”
mediante la tariffa imposta ai cittadini.
Contro ogni aspettativa se vincerà il
“Sì” non avremo un vuoto legislativo, come molti paventavano, né, come
molti speravano, si determinerà la reviviscenza delle discipline
anteriori in materia, che avrebbe permesso nel migliore dei casi, vista
la sentenza 325/2010 della Corte Costituzionale, di costituire società
per azioni in house a totale capitale pubblico.
Dalle motivazioni esposte dalla Corte
Costituzionale in merito all’ammissibilità dei quesiti referendari
emergono due dati fondamentali. In primo luogo, in Italia sarà possibile
immediatamente applicare il diritto comunitario, che ancora permette –
nonostante contempli la logica della rilevanza economica e del profitto
per la gestione dei beni comuni − l'affidamento diretto dei servizi
essenziali. In secondo luogo, la privatizzazione del servizio idrico non
è, contrariamente a quanto fu fatto credere dai nostri legislatori a
partire dal 1990, un obbligo comunitario.
Potremo, dunque, ripensare la
possibilità di reintrodurre l'Azienda municipalizzata nell'ordinamento
nazionale, unica garanzia per la gestione pubblica dell'acqua. Una
Azienda che sia articolazione interna alla Pubblica Amministrazione come
l'aveva pensata Giolitti nel 1903. Una Azienda in cui sia prevista la
partecipazione dei cittadini nella gestione dei bilanci.
Potremo auspicare ad un governo
pubblico, democratico e partecipato di un diritto universale.
Potremo, ma non è detto che faremo,
perché le forze ostili a questo progetto sono tante e determinate.
L'oro blu, come oggi viene definito dai
predatori dell'acqua, è stato valutato come l'industria più redditizia
con un valore di 403 miliardi di euro l'anno. Questo mentre
l'innalzamento del livello del mare, l'inquinamento delle falde e il
prosciugarsi dei fiumi e dei laghi stanno diminuendo drasticamente le
riserve di acqua dolce disponibili e migliaia di uomini e di donne
abbandonano terre ormai deserte.
Il Consiglio Mondiale dell'acqua calcola
che nel 2025 le riserve mondiali per abitante si assesteranno a 4.800
metri cubi rispetto ai 16.800 metri cubi del 1950.
Già oggi, a causa di questa progressiva
carestia, 1,1 miliardi di esseri umani non beneficia di acqua potabile e
5 milioni di persone muoiono ogni anno per malattie legate all'acqua, un
numero che supera dieci volte quello delle vittime dei conflitti.
L'Organizzazione delle Nazioni Unite
ritiene che, se la tendenza attuale proseguisse, tra vent'anni il numero
di coloro che non avranno accesso all'acqua raddoppierà e altri 5
miliardi di uomini vivranno in regioni dove sarà difficile rispondere a
tutte le loro necessità.
Tutto ciò mentre circa la metà
dell'acqua raccolta svanisce o per falle nella rete di distribuzione o
per evaporazione al momento dell'irrigazione.
Solo in Italia ogni minuto la rete
idrica perde 6 milioni di litri d'acqua: quanto basta a riempire due
piscine olimpioniche, cioè 10.500 metri cubi di acqua ogni chilometro di
acquedotto in un anno e la rete italiana misura ben 291 mila chilometri.
La medaglia d'oro degli sprechi va alla Campania che arriva a buttare
via per ogni chilometro 24 mila metri cubi di oro blu.
Chiare fresche e dolci acque che si
disperdono nei buchi neri dell'inefficienza politica e amministrativa.
Buchi che le multinazionali sono pronte ad occupare per ricavarne enormi
profitti com'è successo in Bolivia a Cochabamba dove la privatizzazione
da parte di una società controllata dalla californiana Bechtel portò a
rincari del 300%. Solo dopo numerosi scontri e 6 morti i campesinos sono
riusciti nel 2000 a cancellare il contratto e a ristabilire la
municipalizzata come forma di governo dell'acqua.
A chi converrà gestire l’acqua potremo
deciderlo andando a votare e votando “Sì”.
Il nostro referendum è solo l'inizio di
una lunga battaglia per la riappropriazione dei diritti e occorre essere
in tanti: una catena infinita di occhi, mani e bocche che dovranno
guardare, toccare e gridare con gioia la vita.
MARZO 2011