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04
Maggio 2011

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L'Italia vista da…

L'ITALIA VISTA DALL'ARGENTINA

Francesco Palmieri

 

Italia primer mundo. La collocazione geopolitica dell'Italia, a prescindere dagli aspetti pittoreschi che all'estero ci distinguono dagli altri popoli, è tra i paesi ricchi e fortemente sviluppati del Primo Mondo. Tuttavia la visione dell'Italia con gli occhi degli argentini che ho potuto cogliere non è molto ragionata e contiene numerose contraddizioni. È il frutto storico di tutte le interazioni tra i due paesi, che comincia nel tardo '800 con le prime migrazioni e prosegue per tutti i primi anni del '900; c'è il fascismo che rappresenta una scuola politica fondamentale per Juan Peròn, in seguito la guerra mondiale e le fughe da essa e dal dopoguerra. Poi il cambiamento. L'Italia diventa più ricca dell'Argentina, è nel G7, la sua industria decolla e le migrazioni finiscono, cosicché le notizie che arrivano sono più che altro sprazzi, fotografie che vengono dalla sezione internazionale dei vari giornali: gran poco. La stampa in Argentina non è mai stata effettivamente libera per via di un monopolio nell'industria cartiera, e per tutto il periodo dal dopoguerra fino all'83 nemmeno il diritto di scrivere è riuscito a sopravvivere qualche anno di fila per via di colpi di stato e dittature. A tutto ciò va sommata la scarsa attenzione degli argentini nei confronti del resto del mondo: spesso imbevuti di snobismo patriottico e peronista non si interessano eccessivamente alla risoluzione delle cause della scarsa informazione. L'immagine dell'Italia nel sud del Sudamerica cambia quindi radicalmente le sue fonti: da una testimonianza diretta dei migranti disperati a una voce tra le altre di quello che è il mondo più ricco. C'è quindi la tendenza di chi è emigrato a volere che la propria casa sia rimasta come se la ricorda, non considerando che il cambio sociale prodotto dalla nuova ricchezza abbia modificato radicalmente la mentalità e la cultura degli italiani. Da questo flusso informativo continuo nel tempo ma discontinuo in contenuti e modalità scaturisce un'idea di Italia ricca di contraddizioni, evidenziabili prevalentemente nella divisione in categorie dei concetti di Italia e di italiani.

È su questa discrasia che vorrei affrontare la complessa visione che avevano di me Argentini, Cileni e Brasiliani del sud. Associo queste tre realtà geografiche perché, nonostante le radicali differenze storiche, culturali e di condizioni o in cui opera l'informazione, sono le zone di maggiore immigrazione italiana d'oltremare (escludendo Stati Uniti e Venezuela).

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Innanzitutto l'idea di Italia. È rappresentata nel primo mondo, quello dei ricchi dove le cose funzionano bene, la ricchezza prospera e la povertà è stata sconfitta. Inoltre è parte dell'Europa, quel calderone abbastanza anonimo dove viene infilato tutto il vecchio continente senza distinzioni di sorta: un'Europa ricca e colpevole della povertà altrui, ma guardata con rispetto per via dello sviluppo sociale più omogeneo rispetto al modello statunitense, che paesi come Brasile e Argentina temono per il proprio futuro.

Questa visione patinata è stata però affiancata da un'altra molto più tragica: quella della crisi. Nella visione dell'argentino, l'Europa è stata investita dalla crisi e si trova in uno stato completo di depressione, disgregazione sociale e mancanza di prospettive. Quest'immagine, più che da conoscenza, è supportata dal fatto di essere un paese che nel 2001 ha vissuto un'esperienza analoga e che ora vanta uno dei tassi di sviluppo economico più alti del mondo; uno sviluppo, a differenza di quello degli anni '90, con basi solide nell'industria alimentare e nel turismo, trainato dalla crescita industriale del Brasile e dalle prospettive politiche di Mercosur e Unasur.

Questa visione contraddittoria non è affatto vissuta con problematicità: agli argentini non interessa troppo ciò che succede all'estero, e se c'è un buon motivo per consolidare il proprio orgoglio questo viene colto al volo. I due stereotipi dell'Europa sono semplicemente associati e sfoderati a seconda del discorso: se ci si debba lagnare dei propri problemi o se ci si vanti dei propri successi.

Il capitolo “Berlusconi” non può essere evitato. Come è già noto, le vicende del premier hanno fatto il giro del mondo e l'icona berlusconiana riscuote successo in paesi così machisti. Chi guarda a lui non ha la minima idea delle sue posizioni politiche, né gli interessano più di tanto: la politica estera è spesso un diversivo, e Berlusconi è divertente. Un esempio piuttosto emblematico è quello di Francisco, un camionista che mi ha dato un passaggio nel sud del Chile. “Italiano! A ti te gusta Berlusconi? A mi me gusta por lo de las chicas!” L'idea che un primo ministro italiano faccia festini in ville magnifiche circondato da ragazze e ragazzine suscita parecchia ilarità anche perché conferma l'immagine latina dell'italiano. La testimonianza è particolarmente interessante perché il suddetto Francisco è un sostenitore del partito socialista e avversatore di Piñera, il presidente cileno. Piñera è uno dei primi successi d'imitazione del modello berlusconiano: entrato in politica con il centrodestra per scalzare 20 anni di egemonia del Partido Socialista, si è presentato come imprenditore di successo, uomo al comando con una marcia in più e possessore di un importante canale televisivo (un altro esempio è il sindaco di Buenos Aires e candidato alle elezioni presidenziali argentine Mauricio Macri, che ha seguito più o meno lo stesso percorso). Questo a dimostrazione che i contenuti politici del discorso berlusconiano non sono affatto conosciuti: suscitano simpatia le bravate che entrano di prepotenza nel gossip di cui è ricca la pagina internazionale di numerose testate giornalistiche.

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Per quanto riguarda il discorso sugli italiani, è necessario introdurre il contesto in cui ho vissuto: Santa Fe. Non quella famosa e piena di grattacieli, in California. Santa Fe argentina è una città di mezzo milione d'abitanti, circondata da distese infinite di pampa humeda coltivate a soia transgenica o adibite al pascolo di bovini, costeggiata dal Rio Paranà e meta di un enorme flusso migratorio fin dalla metà dell'800. C'è stato addirittura un momento, verso la fine di quel secolo, in cui gli immigrati italiani costituivano la metà della popolazione. Circa la metà delle persone conosciute ha un cognome italiano, tutti hanno un nonno o bisnonno italiano, un terzo dei miei compagni di corso ha la cittadinanza italiana o sta facendo le carte per ottenerla. In compenso, nessuno parla italiano in casa.

L'idea che hanno degli italiani è pertanto quella tramandata dai migranti di cento anni fa, di un'Italia contadina tutta chiesa e famiglia. Un popolo caldo ed accogliente, essenzialmente diverso dai vicini europei per lo status di latinos che ci viene attribuito (ma più simpatici degli spagnoli e dei portoghesi per ragioni storiche). Spesso gli argentini sono rimasti molto sorpresi scoprendo da me che la realtà come gli era stata raccontata non esiste più. Sentirsi dire che loro erano molto più caldi e simpatici degli italiani li ha inorgogliti e delusi.

Altro discorso è il peso del cattolicesimo: la presenza del Vaticano e la memoria dei migranti hanno conservato l'immagine di un paese ferventemente devoto. Faticano a credere che nel Nord Italia la bestemmia è arrivata ad essere molto spesso un semplice intercalare, che le chiese sono quasi vuote e che la religiosità nei paesi sudamericani è molto più sentita (l'Argentina è però un caso particolare di forte secolarizzazione).

Un'occasione paradigmatica è stato un pranzo di famiglia di un'amica a cui sono stato invitato. La nonna, che ospitava tutti, ha figli e nipoti che vivono in città situate a diverse ore di distanza, i quali si spostano frequentemente per andare a visitare i parenti. Le distanze sono un aspetto davvero disorientante per un europeo: non siamo abituati a spazi di tali dimensioni. Perciò un argentino impallidiva sentendo che raramente visito i miei zii piacentini perché c'è da fare un'ora di viaggio.

La tavolata era abbastanza grande, una dozzina di persone che parlavano a voce molto alta, bevevano e mangiavano a volontà e facevano feste ai nipoti giovani, sposati e con figli. A un certo punto la nonna, orgogliosamente, mi dice: «Devi sentirti proprio a casa; questa è una situazione molto italiana...». Sicuramente fu felice di sapere che io mi sentissi davvero a casa, ma la delusione è stata evidente quando le ho detto che, in realtà, con la famiglia mi ritrovo, se va bene, due volte all'anno.

Se ne andava così una colonna portante dei suoi riferimenti simbolici, un'idea antica di Italia che scompariva di fronte a uno dei primi emigrati italiani a Santa Fe da molto tempo che le raccontava il nuovo aspetto del nostro paese.

 

MARZO 2011

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