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08
Ottobre 2012

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La città dell'uomo

KIKU, PIATTAFORMA WEB PER L'AUTO-RICOSTRUZIONE DE L'AQUILA

Francesco D’Onghia

 

Crisi e austerity. Non si parla d'altro. Il paese è in recessione, il continente pure, il resto del mondo guarda preoccupato. Dicono sia tutto riconducibile alla cattiva gestione dei conti pubblici, alla sfiducia sui mercati, agli attacchi speculativi. Ma io sono convinto che la dimensione della crisi sia profondamente strutturale e che non riguardi soltanto la sfera economica, ma anche quella sociale, civile e culturale. In sintesi riguarda tutti gli aspetti della dimensione umana.

L'incremento demografico degli ultimi quarant'anni e il prodigioso sviluppo tecnologico che lo ha accompagnato impongono un adeguamento profondo della politica, che deve essere sempre più lontana dagli steccati ideologici e sempre più prossima alle dimensioni di questa complessità, sviluppando la capacità di coinvolgere le persone nel loro ruolo di cittadini.

È una operazione che passa attraverso una grande rivoluzione etica cui l'uomo moderno dovrà sottoporsi, sviluppando una cultura di collaborazione creativa ed informativa, e ridefinendo l'idea stessa di partecipazione, di innovazione e persino di governo.

 

Un anno fa cominciavo la mia tesi di Laurea Magistrale in Product-Service System Design al Politecnico di Milano. Volevo capire come le competenze di un designer potessero essere utili anche in situazioni di ricostruzione post-disastro naturale.

Ho analizzato situazioni d'emergenza molto diverse tra loro per contesto (urbano/rurale, paese sviluppato/in via di sviluppo) durata, impatto e scala della crisi. Da Haiti a L'Aquila, passando per il Giappone, emerge che la società umana ricorre, da sempre, ad un sistema di aiuto reciproco per affrontare problemi quotidiani e, soprattutto, straordinari. Succede così che vicini, parenti e amici si aiutino a vicenda nei momenti di bisogno. Altre volte, tutta la comunità si riunisce e si organizza per lavorare su esigenze comuni. Si tratta di un sistema di mutuo supporto sociale del tutto spontaneo.

Io stesso, durante il mio viaggio di ricerca al L'Aquila, mi sono imbattuto in diverse storie che vale la pena raccontare. La città era ancora senza il suo centro storico, la maggior parte delle strade era stata aperta, ma c'era un senso molto forte di spaesamento. I negozi sbarrati e i puntellamenti creavano l'impressione di una città fantasma e guardando oltre le barriere si potevano ancora vedere mucchi di detriti.

In questo panorama di distruzione, però, ho avuto la fortuna di incontrare persone e collettivi che non mollano un istante, che si vogliono mettere in gioco e che hanno cominciato la propria ricostruzione personale subito dopo il sisma. Ma hanno dovuto confrontarsi con un profondo gap comunicativo con le istituzioni.

 

L'evento più significativo di tutto il post-terremoto è sicuramente la “Rivolta delle carriole” in cui ben 6000 persone si sono organizzate per sgomberare il centro storico dalle macerie, dando vita ad un lunghissimo, emblematico passamano di secchi pieni di terra e detriti. Una delle partecipanti, Anna Colasacco, esprime con queste parole l'emozione e il significato di quei momenti[1]:

 

Eravamo in 400, domenica 14 febbraio, a dire che, alle 3 e 32 del 6 aprile, noi non ridevamo. Eravamo in 1000, la scorsa domenica, a dire che L'Aquila è nostra. Eravamo in 6.000 (dati della questura) oggi a dire “liberiamo L'Aquila dalle macerie”. Ed a farlo fisicamente. I numeri parlano da soli. La voglia di partecipazione cresce a vista d'occhio. E siamo stati bravi, superato il nervosismo dei primi momenti, ad organizzare la catena umana che ha passato di mano in mano le macerie raccolte e differenziate in piazza Palazzo, sino alla piazza del Duomo.

Corpi e braccia di uomini, donne, bambini che erano voglia di rinascita. E vita vera. Dopo tanta morte e desolazione. La consapevolezza di essere in numero sempre crescente, la percezione netta della volontà di partecipazione, della voglia di rimboccarci le maniche per dare il nostro contributo alla rinascita della città ci ha dipinto i volti di speranza. Ed i cuori di gioia. Siamo tanti, siamo uniti nelle nostre diversità. La lotta per il diritto alla partecipazione è appena iniziata...

Ma, quando si sente che non si è più soli, si diventa forti. Le macerie della nostra disgrazia sono assurte, oggi, a simbolo di nuova vita. Gli aquilani stanno mostrando il loro volto vero, la loro natura di popolo abituato ad affrontare e superare la sofferenza. Non è stata una protesta, ma la manifestazione della nostra volontà. Gli aquilani, finalmente, ci sono.

 

Poi ci sono tanti piccoli esempi di auto-ricostruzione, di chi non ha voluto attendere il lungo processo decisionale delle istituzioni e sentiva il bisogno di contribuire attivamente alla rinascita del proprio territorio. Particolarmente interessante è il progetto eva (Eco Villaggio Autocostruito)[2] in cui sono stato gentilmente ospitato per una settimana. Un piccolo villaggio di sole cinque accoglienti “case di paglia”, costruite con modernissime tecniche di bioedilizia.

Si trova a Pescomaggiore, un piccolo borgo a 15 chilometri da L'Aquila, poche decine di abitanti. Il terremoto ha duramente colpito il paese, distruggendo la maggior parte delle case e del patrimonio culturale e storico. Ma i cittadini hanno spontaneamente costituito un Comitato per la Rinascita di Pescomaggiore, con un obiettivo ambizioso: costruirsi da soli i necessari alloggi temporanei, attraverso autofinanziamento, donazioni e volontariato, per consentire al maggior numero possibile di famiglie di continuare a vivere nella zona, senza essere costretti a sradicarsi e allontanarsi dal loro territorio. Un'iniziativa partita dal basso, da un’azione spontanea e solidale dei cittadini di riprendersi, non solo metaforicamente, il loro territorio ed evitare la disgregazione della loro comunità.

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Tramite i social network ho conosciuto anche Anna Barile, abitante del progetto c.a.s.e. di Camarda che, come in tutte le altre new towns volute dall'allora presidente del consiglio Silvio Berlusconi, non prevede luoghi di incontro per la comunità.

Anna ha, quindi, deciso di prendersi cura di un piccolo angolo di terra destinata all’abbandono, al fine di trasformarlo in punto di riferimento per la socializzazione della comunità. E non lo ha fatto da sola, ma con l'aiuto dei bambini del vicinato che hanno trovato nell' “Orto Insorto” un luogo, o meglio un laboratorio, dove giocare, riposare, stare insieme e utilizzare la loro creatività per un bene comune. Anna descrive così la sua esperienza:

 

Era già il mese di marzo: ho cominciato a ripulire, potare, sgamollare, rastrellare, sforbiciare, togliere, tagliare, estirpare e tosare tutto il possibile. Poi sono cominciati i lavori grossi di puntellamento dei due muri superstiti del pollaio. Ho recuperato i mattoni crollati e con un po’ di cemento ho ricostruito le due pareti. Ho ridisegnato il perimetro con le stesse macerie, ed è cominciata l’avventura.

[...] Il luogo comincia ad essere meta curiosa dei bambini e dei ragazzi. Non hanno un posto dove andare, il tendone caritas apre solo alle 6 del pomeriggio e trovare ai margini del bosco una sorta di laboratorio fantasioso, aperto, pieno di cianfrusaglie, non convenzionale, libero, diventa ai loro occhi un posto magico.

Cominciamo a conoscerci e a lavorare insieme, spesso le collaborazioni si traducono in piccoli disastri, ma non importa, si ricomincia. La prima costruzione partecipata con un gruppo di ragazzini, è stata un tavolo. Riciclando vecchi legni si sono impegnati con passione, tutti insieme: chi segava, chi inchiodava, chi avvitava, fino alla realizzazione e soddisfazione finale.

Avevo acquisito un’altra consapevolezza: anche i ragazzi sentivano l’esigenza di costruire con le loro mani, con la loro fatica e partecipazione e ne avevano tutto il diritto.

Il piccolo Umberto un giorno mi chiede di fare la galleria di foglie. Mi ci è voluto un po’ per capire che voleva una pergola. Perciò ho recuperato la struttura di un vecchio gazebo di ferro, l’ho conficcato nel terreno e ai quattro lati abbiamo piantato quattro viti. Ci sarà un bel pergolato fra qualche anno ad ombreggiare il tavolaccio per le grandi abbuffate.

I ragazzi più grandi hanno piantato un salice, loro lo vedranno cresciuto. Il piccolo Matteo e la sorellina Aurora fino a notte fonda, hanno scavato la buca per piantare tre tuie. Loro sono molto orgogliosi di questo.

 

La lista di iniziative spontanee nate dall’entusiasmo della comunità aquilana andrebbe avanti all'infinito. Ci sono ex-vicini che si organizzano per pulire e rivitalizzare i giardini pubblici, gruppi di amici che portano cibo ai cani di quartiere, rimasti ultimo presidio in una città altrimenti deserta, e ci sono collettivi di ragazzi che “adottano” alcuni dei pochi edifici non compromessi dal sisma per organizzare eventi culturali, aprire aree internet, biblioteche e palestre gratuite.

C'è una cosa che accomuna la maggior parte di queste iniziative, sono nate e/o si sono alimentate tramite internet che, oggi, ci offre una nuova generazione di strumenti a basso costo e facili da usare, che alimentano i network sociali, lo scambio di informazioni e il lavoro collaborativo.

Questi strumenti, definiti del web 2.0, consentono alle persone di organizzarsi e apportare cambiamenti decisivi alle proprie vite, con o senza l'aiuto delle istituzioni.

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KIKU

Mi è stato chiaro fin da subito: gli aquilani non chiedono aiuto, chiedono trasparenza e partecipazione, chiedono di avere la possibilità e gli strumenti per prendersi le proprie responsabilità ed essere i veri protagonisti della ricostruzione, fatta non solo di materiali per edilizia, ma anche di tessuto sociale e culturale.

Tuttavia le autorità, nella fase decisionale e attuativa della ricostruzione, hanno spesso invocato la fretta nell’emergenza come motivazione per non poter coinvolgere la comunità, tralasciando le necessità proprie del territorio e dei suoi abitanti, e innescando in questi sentimenti di sfiducia e frustrazione.

In sintesi, la frattura tra i desideri degli aquilani e i programmi politici costituisce il problema più grave per la città e sarà impossibile cambiare il destino di una regione colpita dalla catastrofe senza la fiducia nelle istituzioni governative da parte della popolazione.

A tal proposito credo che l’esperienza aquilana sia emblematica: in un mondo connesso come mai prima d'ora, i governi si trovano ad affrontare una sfida al loro “potere”, in precedenza incontrastato. Devono gestire il cambiamento dei rapporti con un pubblico sempre più esigente, più che mai in grado di esprimere opinioni, dubbi e desideri. Potrebbero, quindi, mantenere la loro struttura rigida e gerarchica, oppure riconoscere che il mondo si sta evolvendo, e sostenere gruppi e individui che mostrano le competenze e l'iniziativa di fornire servizi che un tempo erano, saldamente, sotto la loro responsabilità.

Si aprono, infatti, nuove possibilità per i governi, che vanno dalla produzione congiunta di servizi pubblici in collaborazione con cittadini, organizzazioni sociali ed imprese, all'introduzione di nuove forme di partecipazione democratica, che indubbiamente porterebbero diversi vantaggi: più fiducia verso le istituzioni, cittadini più coinvolti, servizi più orientati ai bisogni effettivi della comunità e nuove opportunità per l'innovazione tecnologica.

 

Con queste premesse ho progettato Kiku (progetto di tesi al Politecnico di Milano), una piattaforma web con l'obiettivo di stimolare e supportare le attività di auto-sviluppo della comunità, colmare il gap comunicativo tra cittadini e istituzioni, e rendere più efficace la creatività collettiva di tutti gli attori coinvolti nel processo di ricostruzione, comprese le amministrazioni. E Kiku potrebbe diventare un punto di riferimento per condividere idee, offrire soluzioni e organizzarsi per trasformare le idee in azione.

Del resto è chi vive un territorio che, più di chiunque altro, ne conosce i bisogni reali da ripristinare dopo una calamità; ciò che spesso manca è un mezzo per palesare questi bisogni, per raggrupparli e farli emergere, per renderne consapevoli anche le autorità che si preoccupano della ricostruzione.

L'intento non è quello di scavalcare le attività governative, piuttosto di condividere le responsabilità, per far sentire la comunità più coinvolta nei risultati che si ottengono giorno dopo giorno e per migliorarne la soddisfazione, rafforzando i rapporti fra i vari attori sul territorio e porre le basi anche per progetti futuri.

Sarebbe un bell'esempio di amministrazione che si affida al crowdsourcing, un esempio di amministrazione come piattaforma. E non solamente da un punto di vista tecnologico, ma una piattaforma per le persone, per aiutare se stessi e aiutare gli altri. E in tutto questo l'amministrazione giocherebbe un ruolo chiave: connettere queste persone[3].

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Amministrazioni e Cittadinanza

Non sapevo molto di amministrazione quando ho iniziato la mia tesi. E come tanti altri, pensavo che significasse soltanto mettere al lavoro le persone elette. Dopo un anno, ho capito che l'amministrazione è molto più di questo.

 

Poche settimane dopo la presentazione di Kiku, uno sciame di scosse sismiche ha sconvolto l'Emilia Romagna. E la macchina della solidarietà è partita immediatamente con migliaia di volontari che hanno offerto il loro aiuto e che continuano ad offrirlo tuttora. Usano le mani per rimuovere detriti e offrire assistenza, ma le usano anche per scrivere delle grandi applicazioni in grado di supportare le amministrazioni e gli enti di volontariato nel lungo processo di gestione dell'emergenza.

Io stesso ho avuto l'opportunità di avere parte attiva in questo sistema, prendendo parte ad Hackathon Terremoto, una maratona tecnologica svoltasi a Bologna il 16 e 17 giugno 2012[4].

Un nutrito gruppo di sviluppatori, designer e analisti, che in 24 ore ha creato soluzioni e prototipi che vanno dall’assistenza in caso di emergenza alla gestione dei beni di prima necessità, dalla verifica dei danni alle abitazioni all’organizzazione dei campi, dall’informazione in situazione di pericolo alla domanda/offerta di alloggio, fino alla ricostruzione partecipata.

Ma Hackathon Terremoto è andato molto oltre le 24 ore della maratona. L'entusiasmo di questo gruppo di ragazzi si è alimentato in rete, è stato adottato e sostenuto da diverse associazioni ed enti ed ha offerto le soluzioni prodotte direttamente agli organi istituzionali interessati: le amministrazioni dei comuni colpiti dal sisma e la Protezione Civile.

 

Se ci capite un minimo di burocrazia amministrativa, sapete che di solito non va così. Per procurarsi dei software ci vogliono almeno un paio di anni. Quindi delle applicazioni che si riescono a creare in 1-2 giorni e che si diffondono in maniera virale, sono un segnale per i governi. Suggerisce come le amministrazioni potrebbero lavorare meglio in assenza di restrizioni, diventando più aperte e produttive.

Anche perché c'è una grande comunità di persone che, in modo spontaneo ma efficiente, sta creando gli strumenti per fare le cose insieme efficacemente. Non sono solo i ragazzi di Hackathon Terremoto, ci sono centinaia di persone in tutto il paese che si fanno avanti per programmare applicazioni civiche tutti i giorni, nelle loro comunità. Non si sono rassegnati alla cattiva amministrazione. Sono frustrati da morire, ma non si lamentano e sistemano le cose. E questi ragazzi hanno capito qualcosa che in molti hanno perso di vista. E cioè che il nostro ruolo non dovrebbe limitarsi ad eleggere un leader politico per poi mettersi da parte e pretendere che le istituzioni riflettano i nostri valori e rispondano ai nostri bisogni. Loro affrontano il problema dell'amministrazione non come un problema di istituzione fossilizzata, ma come un problema di azione collettiva. In fondo cos'è l'amministrazione se non il fare insieme quello che non possiamo fare da soli?

 

È ovvio che non possiamo pensare di affrontare le enormi sfide che ci attendono facendo a meno delle amministrazioni, ma dobbiamo renderle più efficaci. Ed è possibile, anche se difficile, perché abbiamo un patrimonio incredibile di conoscenze e competenze, e internet ci permette di mobilitarle e trasformarle in azione.

Quindi la buona notizia è che la tecnologia rende possibile ristrutturare radicalmente il funzionamento degli organi istituzionali, in modo sostenibile e rafforzando la società civile.

Ma noi dovremo ricordarci, ogni giorno, che non siamo solo consumatori, che non siamo solo clienti passivi delle amministrazioni, pagando le tasse in cambio di servizi. Siamo più di questo, siamo cittadini. E non riusciremo a cambiare le amministrazioni finché non miglioriamo la cittadinanza.

 

AGOSTO 2012

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[3] Una descrizione dettagliata del progetto e il libro completo scaricabile in pdf reperibili al seguente link: http://francescodonghia.wordpress.com/2012/05/27/kiku-re-imagine-post-disaster-reconstruction-in-the-era-of-participation/