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N.d.r. sull'attualità 


TERRA DEI FUOCHI: VIAGGIO ALL'ORIGINE DEL DISASTRO AMBIENTALE

Intervista a Massimo Ammendola, giornalista e direttore di «Città Future»

Marco Michelli

 

Terra dei Fuochi. Ne parliamo non solo in quanto è entrata in vigore la nuova legge, ma perché si comincia a discutere anche dei rischi per gli addetti alle bonifiche, vista la difficoltà di capire quali siano i materiali presenti sui territori inquinati.

Cercando di raccoglier e informazioni, la prima difficoltà è quella di comprendere quali e dove sono i confini di questa terra conosciuta un tempo come Agro Aversano e ora ribattezzata in questo modo aberrante, nonché stabilire quali tematiche approfondire laddove le stesse s’infittiscono e la ragione sembra appartenere a tutti. Di fatto si tratta di una delle vicende più devastanti per il nostro Paese, fatta di abusi, connivenze, sottesi e, soprattutto, di persone (e luoghi) che diventano vittime di ciò che intorno a loro viene inopinatamente inflitto. Il decreto legge n. 136, approvato dal Governo il 10 dicembre del 2013, è stato convertito in Legge lo scorso 6 febbraio 2014. Tra i contenuti del testo la mappatura delle aree inquinate in Campania, lo screening sanitario gratuito per i residenti dei comuni interessati, l’introduzione del reato di combustione illecita dei rifiuti, la possibilità di utilizzare l’esercito. Accanto alla regolamentazione, sono riemerse le inquietanti notizie dei decessi di minori colpiti da tumori o neoplasie, in una percentuale che è abnorme rispetto al resto della nazione e per molti dovuta in particolare alle inalazioni dei gas delle sostanze tossiche che vengono disperse nei roghi, divenuti ormai quotidiani.

Quale sia la Terra dei Fuochi resta ancora ben lungi dall’esser e chiaro. Sulla carta si prospetta un territorio indefinito, tra la provincia di Napoli e la provincia di Caserta. C’è chi dice essere un’area estremamente limitata e interessi solamente 15/20 Comuni e chi sottolinea come sia ben più estesa, considerando non solamente i roghi, ma anche gli sversamenti abusivi e le ecoballe lasciate a marcire, con Arpa Campania e Ispra che avrebbero già localizzato e caratterizzato ben 5mila siti. L’Istituto Superiore di Sanità (iss) attesta che in quella zona la contaminazione di acqua e terreni, causata dai rifiuti illegali interrati, è un problema concreto e misurabile; inoltre riconosce che lo stato di salute della popolazione campana è peggiore rispetto al resto d’Italia, con una mortalità più elevata del 2% rispetto alla media nazionale (e con punte del 29% in alcuni Comuni). A ciò si aggiunga la difficoltà del documentare l’eventuale aumento dell’incidenza del cancro nella Terra dei fuochi, perché non esiste un registro dei tumori ed è difficile ottenere numeri attendibili. Molte stime sono estrapolate per deduzione, mentre sono più credibili i dati di mortalità e di ricovero, utilizzabili per identificare le aree più problematiche. Un’altra ricerca, condotta nel 2009 sempre dall’ISS in collaborazione con l’Organizzazione Mondiale della Sanità (oms), evidenziava un’associazione tra la mortalità e i rifiuti (soprattutto per quanto riguarda gli scarichi di rifiuti illegali). Di fatto, gran parte del territorio delle province di Napoli e Caserta è oggi totalmente compromesso: il tasso di mortalità tumorale è il più alto del continente, le continue emergenze rifiuti hanno solo aggravato lo stato di inquinamento e di illegalità in cui versa il luogo. C’è perfino una perizia del geologo Giovanni Balestri, compiuta per conto della Procura di Napoli, dalla quale si profetizza che nell’anno 2064 si raggiungerà l’apice dell’incidenza negativa del gravissimo inquinamento, completandosi la precipitazione nella falda acquifera del percolato e di altre sostanze tossiche derivanti dalle migliaia di tonnellate di rifiuti. Sembra di trovarsi ad un punto di non ritorno: un piano bonifiche per arginare il fenomeno è ancora lontano, tanto che lo stesso Inail ha denunciato la situazione di estrema pericolosità in cui rischiano di trovarsi a lavorare (quando non indagate) le imprese chiamate alle bonifiche, che possono imbattersi in ogni sorta di rifiuto: dai pneumatici usurati all’olio esausto, dall’eternit al piombo fino all’abbigliamento e alla mobilia, ma anche veleni industriali di ogni sorta che, dopo l’incenerimento, avvelenano il territorio e diventano parte del passato. Dopo queste drammatiche premesse, cerchiamo un punto di riferimento che possa consentire di fare una disamina obiettiva. Contattiamo quindi Massimo Ammendola, il Direttore Responsabile del periodico napoletano “Città Future” (www.cittafuture. org) che da anni, insieme alle Assise della Città di Napoli, denuncia lo stato in cui versa il territorio.

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Direttore, che cos’è la Terra dei Fuochi?

 

La Terra dei fuochi è la zona tra la provincia di Napoli e la provincia di Caserta dove ogni giorno e ogni notte vengono sversati rifiuti industriali tossici, che spesso vengono dati alle fiamme: i roghi producono fumi neri che ricadono poi anche a chilometri di distanza. Lo sversamento dei rifiuti industriali ha dei costi rilevanti se fatto in modo ufficiale, così le industrie italiane si rivolgono ai clan. L’epicentro è il cosiddetto Triangolo della morte, Acerra-Nola-Marigliano, scendendo fino al mare, a formare un largo corridoio tossico. E le denunce alle autorità cadono nel vuoto da anni.

 

C’è chi critica la presunta indifferenza dei cittadini: quale il suo giudizio?

 

Ci sarà stata collusione di alcuni, ci sarà stata omertà di altri, ma tutto è stato ignorato da coloro che avrebbero dovuto invece ascoltare, rispondere ed intervenire: le denunce delle Assise e dei Comitati. La gente sta finalmente prendendo coscienza e manifestando in massa, grazie anche all’operato di Don Maurizio Patriciello, parroco di Caivano che è riuscito ad ottenere attenzione mediatica, dopo anni di disinteresse. Pur se coinvolti, purtroppo, comitati e parrocchie appaiono in guerra permanente tra loro, sospettosi e divisi, ognuno detentore della propria verità, al punto che nel recente passato sono state perfino organizzate manifestazioni diverse e separate... Intanto i bambini continuano a morire, di tumori e leucemie, con una frequenza terrificante. Eppure Giovan Giacomo Giordano, ex primario anatomo-patologo presso l’Istituto Pascale di Napoli, nel suo libro bianco, Salute e ambiente in Campania già nel 1977 evidenziava come la Campania patisse gli effetti nocivi causati da smog e rifiuti tossici.

 

Quali le prove scientifiche di questo disastro?

 

Una prova del disastro ce la offrono gli Stati Uniti che hanno deciso lo scorso anno il ritiro delle truppe americane dalla provincia di Caserta, per i pessimi risultati delle analisi ambientali condotte (commissionando l’indagine all’iss). L’ammiraglio Mark Fitzgerald, due anni fa, raccomandò al comando della Us Navy di non bere acqua del rubinetto (il dossier della Us Navy di Napoli – ripreso in un’inchiesta di «L’Espresso» – ha delineato uno scenario inquietante, che denuncia acque contaminate, gas velenosi che emergono dal terreno e perfino alcune tracce di uranio). Poi c’è il Rapporto Sebiorec, uno dei più imponenti studi epidemiologici con biomarcatori mai fatti in Italia. In esso si parla di presenza di alti livelli di diossina nel sangue, arsenico nell’acqua, insieme a cadmio, mercurio, piombo. Con i picchi nei comuni più vicini alle discariche e agli inceneritori. Sono stati trovati anche i pericolosi Pcb, policlorobifenili. E si fa riferimento espressamente anche a quella diossina chiamata “tipo Seveso”, la più pericolosa, associandola al consumo di mozzarella e verdure.

Aggiungendo che nel quartiere di Pianura c’è più diossina che nel resto della Regione, la preoccupazione è alta per tutte le patologie indicate dagli scienziati: allergie, malattie respiratorie, danni agli organi. Quello che spaventa maggiormente resta l’aria, ma il timore è che l’intera catena alimentare sia compromessa.

 

In un suo recente articolo ha associato la cosiddetta “emergenza rifiuti (urbani)” della Campania a quella dei rifiuti tossici vera e propria. Come mai?

 

La gestione dei rifiuti urbani è strettamente legata al traffico di rifiuti tossici. Molte discariche e le stesse ecoballe contengono anche scarti tossici; in alcuni casi, come la discarica di Lo Uttaro (Caserta), coprono totalmente vecchi sversamenti industriali. Gli scarti (solidi, liquidi, fanghi) tossici, ed anche nucleari, vengono gettati nelle cave dismesse, nei laghetti, o utilizzati come fertilizzante per terreni agricoli, o come sottofondo stradale, provocando in ogni caso un avvelenamento progressivo delle falde acquifere, delle acque di irrigazione dei campi e dell’aria. Occultare i rifiuti tossici interessa le mafie e l’industria: perciò una situazione di emergenza, in cui c’è confusione e mancanza di controllo, conviene a tutti. E questi rifiuti tossici, sono stati spesso nascosti anche nelle discariche di rifiuti urbani: dunque, le due emergenze, quella dei rifiuti urbani e quella dei rifiuti industriali-tossici, si mischiano, fino a confondersi. E tutto ciò continua senza problemi, ogni giorno, ogni notte. Si distrugge un territorio, senza che nessuno dei responsabili paghi. Il riciclo dei rifiuti viene boicottato. Discariche e rifiuti tossici inquinano irrimediabilmente la terra, l’acqua e il cibo. Questa l’intricata vicenda che ha portato a 20 anni di emergenza, a milioni di euro spesi, alla devastazione ambientale e ha prodotto diverse inchieste giudiziarie.

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Fa risalire l’inizio della vicenda a circa venti anni or sono: cosa è accaduto?

 

Un piano criminale è stato costruito da almeno venti anni per prolungare l’emergenza dello smaltimento dei rifiuti urbani, sinonimo di denaro. Il problema principale, e mai risolto, era l’infiltrazione dei clan camorristici nella gestione delle discariche e nella raccolta e nel trasporto dei rifiuti. Poi nel 2000 una multinazionale italiana vinse la gara d’appalto per gestire i rifiuti campani, ipotizzando la costruzione di 2 inceneritori, 7 impianti per la trasformazione dei rifiuti in ecoballe (combustibile degli inceneritori), nonché varie discariche per tamponare l’emergenza...

L’inceneritore viene attivato solo nel 2010 e continuamente bloccato per gravi problemi tecnici. I 7 impianti previsti per trattare i rifiuti e trasformarli in ecoballe non hanno mai funzionato come dovevano: i rifiuti non sono stati mai trattati e quindi inertizzati (resi non pericolosi), ma solo tritati e imballati. E non essendoci un inceneritore dove bruciarli per 10 anni, sono stati sistemati sul territorio campano, in quelle che sono diventate vere e proprie discariche: parliamo di più di 8 ML di tonnellate di ecoballe di rifiuti inquinanti che attualmente marciscono sul territorio. Anche le stesse discariche fatte in questi anni sono state costruite in maniera pessima: delle semplici buche, isolate malamente, che lasciano scivolare nel terreno e quindi nelle falde acquifere il liquido tossico che i rifiuti producono, il percolato. E su esse i clan hanno lucrato, attraverso le compravendite dei terreni dove sono poi sorte.

 

Cosa fare?

 

Come ha detto Don Patriciello: «Bisogna agire a piccoli passi, con intelligenza, perché il problema è complesso, e la complessità non la si può affrontare con la semplicità, ma con la stessa complessità». In primo luogo andrebbe chiesta l’evacuazione delle zone compromesse: non si può continuare più a vivere così, anzi a morire così. Infatti, a parte i costi per gli interventi, in alcune zone (come ad esempio per i 20 km quadrati dell’area ex Resit, a Giugliano), «... realisticamente la bonifica appare impossibile. Per legge, infatti, bisognerebbe raccogliere tutti i materiali, rimuoverli e trasportarli altrove. Stesso discorso vale per le acque. Un’impresa proibitiva» come ebbe a dire il Commissario di governo. E vanno poi aperti nuovi fronti: i controlli satellitari dei camion possono addirittura dirci cosa trasportano; va fatto un censimento dei rifiuti industriali italiani per sapere cosa diventa scarto e come lo si smaltisce. Va quindi colmato il gap per quanto riguarda l’impiantistica per i rifiuti tossici. Ed ancora: analizzare i suoli agricoli e le acque, esaminare l’assorbimento degli inquinanti da parte delle varie tipologie di colture vegetali, tracciando seriamente i prodotti agro-alimentari e anche bonificando con coltivazioni no-food. Di fatto, sebbene vi sia un intero sistema produttivo ed economico da rivedere, ciò non toglie che possiamo e dobbiamo aspirare ad una vita migliore, che abbia come fine la felicità, e non il consumo...  tossico. È il momento di svegliarci dal torpore delle comodità dei falsi bisogni consumistici, ognuno di noi deve diventare responsabile.

 

Mentre concludiamo l’articolo il neoministro per l’Ambiente ha dichiarato che il suo primo intervento sarà rivolto ai reati ambientali. Perché la gravità della diffusa situazione campana porta a trascurare gli altri siti inquinati sparsi per la penisola, dove l’incidenza dei tumori è di gran lunga superiore alla media nazionale - come evidenziato dallo studio epidemiologico Sentieri già nel 2011. Quando si potrà dire realmente che un’altra realtà è cominciata?

 

MARZO 2014

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