DA BEAT A BIT GENERATION: LE CULTURE E LA CREATIVITà GIOVANILE AI TEMPI DEL WEB
Ornella Esposito
Un volta erano beat, ossia
ribelli, i giovani, da sempre precursori e termometro dei mutamenti
culturali della società. Oggi sono
bit, ossia connessi, immersi nella software culture
caratterizzata dai linguaggi dell’informatica e del digitale. Sono i
giovani del Terzo Millennio, quelli nati già con uno strumento
tecnologico si potrebbe dire in pancia,
always on e tra i principali
fruitori delle nuove tecnologie. Di loro e delle loro produzioni
culturali si parla nella pubblicazione a cura del professor Lello
Savonardo (edizione FrancoAngeli pp.256)
Bit generation: culture giovanili,
creatività e social media in cui sono anche riportati i risultati di
una ricerca condotta dall’Osservatorio Giovani dell’Università degli
Studi di Napoli, in collaborazione con l’assessorato competente del
Comune di Napoli, sulla popolazione più giovane dello Stivale, quella
napoletana.
Dal lavoro di studio e ricerca (cui hanno contribuito Franco Crespi,
Annalisa Buffardi, Derrik de Kerckhove, Enza Maria Paolino, Giorgina
Sommonte, Antonietta Bisceglie, Gabriella Punziano,Dario De Notaris,
Domenica Coppola) emergono analisi e riflessioni interessanti. La prima
è che i “nostri” giovani, contrariamente al sentimento comune, non
disdegnano l’impegno civile pur essendo disaffezionati alla politica.
«Hanno spostato altrove i loro interessi», ovviamente anche grazie
all’ausilio di internet. Un esempio di ciò sono gli “indignados” sul
piano internazionale o il “popolo viola” in Italia.
La ricerca poi indaga nello specifico su come le tecnologie digitali
influenzano le diverse forme di comunicazione, socializzazione, consumo
e produzione culturale giovanile. «L’interrogativo – tiene a precisare
Lello Savonardo, curatore della pubblicazione – non è più, come i
recenti dibattiti vogliono, “se Internet ci rende stupidi” e “perché la
Rete ci rende intelligenti”, piuttosto come questa mette in discussione
le categorie classiche con cui interpretiamo il mondo».
Un mondo che – stando agli studiosi – non è ancora in grado, rispetto ai
“nativi digitali”, di saper usare il potenziale offerto dalla Rete, come
ad esempio le istituzioni educative, decisamente non al passo coi tempi
quindi poco appetibili per le giovani generazioni.
Queste ultime inoltre, da sempre portatrici di cambiamenti – rassicura
lo studio – non stanno ammazzando, come vorrebbero i puristi della
lingua italiana, la grammatica e l’ortografia. La comunicazione è
semplicemente diversa e avviene in una forma inedita: tende ad assumere
caratteristiche tipiche dell’oralità, dando vita a modalità di uso della
lingua detta “scritto-parlato”, che sembra caratterizzare l’era
digitale.
Altro mito che il gruppo di studiosi tenta di sfatare, almeno per i
ragazzi napoletani, i più giovani d’Italia, è che il virtuale si
sostituisce al reale.
Dalla ricerca effettuata dall’Osservatorio emerge infatti che a Napoli
sembra esserci una particolare predisposizione nel trasformare le forme
di socialità on line in opportunità di incontri dal vivo. In tal senso,
i giovani napoletani mostrano peculiarità interessanti nel trasformare
la “socialità virtuale” in “socialità reale”. Le “amicizie” acquisite
nei social tendono ad arricchire le relazioni reali e non si
sostituiscono ad esse.
Il dato appare confortante in un momento in cui forte è la
preoccupazione per i potenziali e conclamati pericoli scaturenti dalla
Rete, insidie che lo studio non nasconde.
Più liberi o più schiavi nell’era del web 2.0? Il dubbio è amletico, e
forse ci sarà bisogno di un paio di generazioni per poterlo sciogliere.
«Nelle società contemporanee – dice il professor Savonardo – siamo tutti
potenzialmente “liberi” e “schiavi” allo stesso tempo. La Rete rende
tracciabili tutte le nostre azioni digitali,
ponendo nuovi ed inquietanti interrogativi sui processi di controllo e
sorveglianza».
Come sempre il nodo risiede nel come si utilizzano gli strumenti, e non
nello strumento in sé che, i ricercatori partecipanti allo studio,
invitano a non demonizzare a priori, ma a conoscere, soprattutto a saper
leggere ciò che attraverso di esso i futuri uomini del nostro Paese
esprimono.
APRILE 2014