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Gennaio 2010

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Per uno studio del marxismo

PRIMI APPUNTI SUI MANOSCRITTI ECONOMICO FILOSOFICI OGGI.

Leggendo il manoscritto proprietà privata e comunismo: modernità e umanesimo.

Giulio Trapanese

 

I manoscritti sono un testo frammentario, mai pubblicato da Marx, scritti pieni di citazioni degli autori che Marx studiava in quel periodo. Un testo di passaggio, dai primi scritti alla concezione del materialismo della storia, una coincidenza particolare fra la strada del passato di Marx non ancora alle spalle e la sua nuova via non ancora percorsa.

Delle cose perse in questo passaggio c’è forse l’elemento della storia nel senso degli uomini che fanno la storia e della storia che fa gli uomini. L’economia politica da un lato e la proiezione del comunismo come stato del raggiungimento della libertà umana dall’altro sono i gradini su cui Marx sta salendo e che nella scrittura dei manoscritti gli lasciano un po’ astrarre dalla storia come la lotta continua e infinita degli uomini per migliorare la propria vita ed il proprio essere. In questa coincidenza però si sente una infinita vitalità di pensiero, la forza dello sguardo che passa oltre il presente, un presente di secoli, un’analisi storica di ampio respiro, la critica del presente come la critica della modernità, e la critica della modernità come la critica del capitalismo.

La critica della condizione umana dopo la rivoluzione francese e la rivoluzione industriale è sparsa per tutti  gli scritti del primo Marx, ma forse, oltre ai Manoscritti,  solo nell’Ideologia tedesca troviamo una descrizione più ampia dell’immagine dell’uomo liberato dalla proprietà privata.

Partiamo da questo come premessa: leggere Marx all’inizio del Novecento prima della rivoluzione russa era un conto (tra l’altro buona parte del giovane Marx non era ancora pubblicata), farlo invece alla fine di quest’ultimo secolo dopo che il comunismo è entrato come storia nella storia ne è stato un altro. Oggi giorno, a vent’anni dall’implosione dei regimi di socialismo reale e dopo un periodo di vent’anni di schiacciante vittoria dal punto di vista materiale ed ideologico del capitale su scala internazionale, ma al tempo stesso all’inizio di un cambio di fase importante, ora, all’inizio d’una crisi economica, con un cambio di tendenza nelle politiche di gestione economica dei governi e con un altro equilibrio mondiale, ne è ancora un altro.

Attraversare Marx, raccogliere e scartare quello che il passato ha preso o ha lasciato di Marx, per arrivare a noi ora qui, con le nostre domande, per essere pienamente nel nostro presente.

Negli anni passati si è discusso di quale relazione possa esserci fra lo studio della società di Marx e la realtà del secolo passato con la degenerazione di rivoluzioni socialiste e con i sistemi del blocco del socialismo reale. E nel Marx giovane si sono cercate risposte a questa domanda. Generalizzazioni di società borghesi diverse, interpretazioni distorte di Hegel, il comunismo come paradiso in terra. Queste alcune critiche rivolte al Marx giovane.

Per noi oggi è forse importante provare anzitutto a ricostruire il senso della critica di Marx alla modernità, modernità che è e rimane ancora alla base del nostro tempo, e da qui provare a ritrovare nelle parole del suo manoscritto Proprietà privata e comunismo il senso della possibilità del comunismo come la liberazione dell’uomo presente.

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Nei Manoscritti la nuova condizione dell’uomo moderno è descritta dal punto di vista del lavoro e della condizione d’estraniazione. Nel manoscritto Il lavoro estraniato Marx scrive della quattro forme in cui si dà l’alienazione del lavoratore da sé. Le quattro forme, quella dell’estraniazione dai prodotti, dall’attività di lavoro, dall’essere proprio dell’uomo in quanto specie e dall’altro uomo, possiamo ricondurle alla nuova condizione del lavoratore industriale, che Marx inizia a conoscere in quei mesi più da vicino sia per l’esperienza diretta in Francia che per lo studio dei classici dell’economia del tempo.

Nel lavoro l’uomo si perde, non si realizza; in ciò che riempie la sua giornata e a cui dona tutto il suo tempo l’uomo dà senza ricevere, produce ma si smarrisce, non si riconosce nel sistema produttivo, è privato sia dei mezzi che dei prodotti. Vive per sopravvivere, lavora per mantenersi appena in vita e continuare a lavorare. Il punto teorico principale è che per concepire l’alienazione bisogna definire in qualche modo cosa si aliena in questo processo, cioè che per dire che l’uomo perde quello che è, è necessario che l’uomo sia qualcosa, che ci sia una sua essenza specifica, che lo sviluppo dell’uomo abbia una sua traiettoria. In questo senso Marx anche nei Manoscritti scrive e discute ancora la posizione di un’essenza propria dell’uomo in quanto specie, di una sua natura particolare e la individua nella sua natura sociale, nel suo essere uomo fra altri uomini. Essere estranei a sé significa essere estranei a ciò per cui siamo portati dalla nostra essenza di uomini e vivere distanti dalla propria natura umana significa vivere stranieri fra gli altri uomini. Perché ogni uomo singolo e l’uomo in generale può essere se stesso soltanto insieme agli altri, può esprimersi solo in una relazione libera con altri uomini. Il dolore dell’alienazione è quindi quello dell’anonimato rispetto a se stessi, di essere uomini ma non poter vivere come uomini. Si può dire che se il tema del lavoro è la novità dei Manoscritti il tema dell’alienazione nel tempo della modernità è invece già presente nei pensieri di Marx negli anni e negli scritti precedenti. La frantumazione dei legami sociali e la dispersione dei singoli nel nuovo ingranaggio borghese degli interessi privati è la realtà della modernità ed è una verità che la rivoluzione industriale ha solo portato a maggiore chiarezza dopo uno sviluppo di diversi secoli. Nella Questione ebraica gli uomini moderni sono descritti come delle schegge, ciascuno per sé, avvolti dal problema della loro sopravvivenza o del loro profitto, accomunati tutti, sia i ricchi che i poveri, dalla rottura dei legami premoderni sia di tipo materiale come appartenenza al ceto o alla corporazione sia di tipo ideale come ad esempio i valori religiosi e gli obblighi morali per una certa appartenenza sociale. La società medioevale si è frantumata, il cielo della religione è caduto sulla terra, ma la terra adesso è solo un inferno senza ombre, senza il cielo di carta delle credenze tradizionali e la forza del consenso delle morali di sempre. La religione non è scomparsa, ma ha un altro senso. Perché come scriveva Feuerbach il cristianesimo moderno è solo una cattiva copia del vecchio, che per non scomparire in un mondo nuovo si è trasformato per i nuovi uomini. Anche nella nostra società in cui le religioni apparentemente proliferano, bisogna chiedersi in che rapporto stanno con gli uomini di oggi e con le loro vite cambiate.

Se i Manoscritti hanno le loro semplificazioni sul versante dell’alienazione e del processo della storia, anche la Questione ebraica ne ha  rispetto al modo di considerare le diverse opposizioni (interesse privato e interesse pubblico, società civile e stato, la divisione presente fra gli uomini e la loro natura comunitaria). Possiamo dire però che rimane per noi un testo ancora importante per avvicinarci al cambiamento sociale portato dalla modernità e ancora di più alla forma di atomizzazione della nostra società presente.

Nei primi secoli della modernità è sorto infatti un nuovo mondo e in questo nuovo mondo gli individui singoli hanno un tutt’altro valore rispetto al passato. Per millenni l’individualismo è stato considerato una colpa. Ogni persona veniva al mondo in una rete di rapporti sociali e di valori culturali già dati, proseguiva la strada che le generazioni precedenti della sua famiglia avevano tracciato per lui e per chi sarebbe venuto dopo di lui, i margini di una relazione autonoma con i valori dominanti nell’ambiente d’origine e nella società erano infinitamente più stretti di oggi. La vita d‘un uomo o ancora di più di una donna, il suo lavoro, il suo matrimonio erano sotto l’attenzione dell’ambiente sociale a partire dalla famiglia, fino al sistema del ceto e alla comunità religiosa. La lenta gestazione del capitalismo è stato invece un processo rivoluzionario in direzione tutta contraria. Lungo la linea del tempo moderno un nuovo sistema sociale basato su nuovi principi e sue nuove forme di produzione ha trasformato in un tempo brevissimo equilibri che erano rimasti in vita per un tempo lunghissimo.

Questo è il nuovo mondo della borghesia e della società che ha vinto con la rivoluzione francese. La forza del pensiero di Marx è di riconoscere questo grande cambiamento ma insieme a questo anche la nuova contraddizione storica e di aver provato a comprendere sul piano reale dello sviluppo della storia umana le possibilità del superamento della società borghese. Pochi anni dopo sorgerà la tesi del materialismo storico della contraddizione fra lo sviluppo delle forze produttive e dei rapporti di produzione e il piano dell’analisi di Marx si sposterà gradualmente sempre di più sul versante della storia come storia dello sviluppo delle diverse forme di produzione. Ma a questo punto, nei Manoscritti, la sua ottica è diversa. Il disastro della società borghese è visto attraverso un’altra lente e in particolare quella dell’opposizione fra l’esistenza reale dei nuovi individui nel mondo della proprietà privata e quella dell’essenza di genere dell’uomo come soggetto sensibile. Il nuovo sviluppo dell’industria, l’aumento del numero dei beni di consumo, la rottura del sistema sociale tradizionale ha trasformato l’uomo, lo sta rendendo ottuso, dipendente dall’avere materialmente i propri oggetti, dal sentirsi se stesso solo nei suoi possessi esteriori, nell’accumulo dei suoi averi. Il Marx maturo non scriverà più in questi termini e il bisogno pratico sarà considerato quasi esclusivamente alla base della legittima pretesa dei lavoratori di migliorare le proprie possibilità materiali. Nei Manoscritti però c’è qualcosa in più: la coscienza di una trasformazione nell’essere dell’uomo moderno. E questa trasformazione per Marx significa soprattutto perdita della sua sensibilità individuale e della coscienza della sua natura sociale. L’uomo per essere quello che è ha bisogno di essere educato a sentire la propria vita nelle sue diverse forme, a non rimanere fissato nelle semplici abilità che gli richiede il mercato del lavoro, e a quello che magari gli servono per la sua sopravvivenza materiale. Questo è ancora solo il livello della sopravvivenza, non della vita. La divisione del lavoro impedisce  infatti all’uomo di guardarsi nella sua totalità e fissa la sua esperienza di vita in modo rigido, schematico, unilaterale, frantuma la complessità degli aspetti della vita in una miriade di singole conoscenze, di singole capacità, di singoli movimenti. Ma l’uomo non è così. Per Marx questa è solo una fase storica, la fase del dominio della proprietà privata, del dominio di ciò che separa un uomo da un altro, il dominio della separatezza fra gli uomini, del loro conservarsi come individui separati e indipendenti. Ma questa divisione è solo l’illusione della coscienza all’interno dello scenario della nuova società borghese. Gli uomini non sono nei fatti indipendenti né sul piano della loro sopravvivenza materiale né su quella della loro vita spirituale. Nessun uomo singolo potrebbe avere il necessario per vivere, coltivarlo, produrlo, prepararlo se si trovasse completamente isolato da tutti gli altri, e neppure mai la vita di un individuo potrebbe svilupparsi spiritualmente senza relazioni e legami d’amore e d’amicizia con gli altri. C’è una distanza tra la realtà della condizione umana e i suoi bisogni in quanto individuo sociale e la nuova coscienza nell’epoca borghese della autosufficienza degli individui, del successo privato, della realizzazione personale.

Questa è la lacerazione di cui Marx parla nel Manoscritto Proprietà privata e comunismo e che possiamo riportare ad oggi, rispetto alla contraddizione fra l’aumento delle connessioni oggettive degli individui come individui all’interno della società e la loro distanza soggettiva come persone umane.

Le distanze nel mondo sono infatti incredibilmente diminuite, i trasporti, le comunicazioni ma soprattutto la rete del sistema dell’economia e del commercio mondiali rendono il mondo un sistema oramai unico in cui è impossibile che una sua parte non avverta quasi immediatamente i cambiamenti che avvengono all’interno del sistema. Basti pensare ai contraccolpi degli ultimi tempi delle borse rispetto al panico della nuova fase di crisi economica. D’altro lato se pensiamo allo sviluppo delle nuove tecnologie e ad internet in particolare vediamo come oggettivamente aumenti il numero delle informazioni, il numero degli scambi almeno apparenti fra persone vicine e lontane, la possibilità di assistere a spettacoli da altre parti del mondo rimanendo fermi a casa propria e l’opportunità almeno in potenza di raffinare la propria cultura a contatto con altre diverse dalla propria. Tutto questo tuttavia avviene ancora all’interno di quello scenario dominato dall’individualismo della proprietà privata che Marx descriveva nei Manoscritti e che ha subito da allora solo delle trasformazioni ma non un cambio qualitativo.

Il mondo oggi davvero può essere visto come un’unica totalità interconnessa, eppure alla base di questo sistema ci sono i granelli e le schegge infinite degli individui privati della loro coscienza di essere soggetti comunitari appartenenti ad un destino comune. Questa frammentazione è la frammentazione degli individui gli uni con gli altri ma è anche soprattutto la frammentazione e la lacerazione interna ai singoli individui fra la loro aspirazione a realizzarsi come soggetti e quindi nel senso delle loro relazioni sociali e dall’altro lato la realtà dell’abbrutimento che spinge l’individuo nella sfiducia nel guardare al proprio futuro e alla relazione con l’altro come un fine a sé fuori dalla logica di appropriazione o guadagno, una sfiducia più in generale rispetto a ciò che Marx chiama la conferma dell’individuo nella coscienza della specie. Un concetto semplice è una verità rivoluzionaria in questo quadro di oggi. La realizzazione o è sociale o non è, la felicità non riguarda individui singoli ma un insieme di individui, una collettività. Quindi lo sviluppo dell’uomo nella sua totalità sensibile, nei suoi rapporti umani come li chiama Marx, come il vedere, l’udire, l’odorare, il gustare, toccare, pensare, intuire, sentire, volere, agire, amare, cioè ciò che rende l’uomo quello che è, non è altro che il suo modo d’essere nel mondo ed è qualcosa di estraneo alla logica della proprietà privata; proprietà che rientra solo nel dominio dei mezzi per l‘uomo, ma non nei fini. Per Marx quindi la società moderna si è costituita attraverso questo capovolgimento di mezzi e fini: la proprietà ad esempio è un mezzo per vivere, per sviluppare i propri rapporti umani, ma non è un fine. L’uomo ha un continuo bisogno di mezzi, ha bisogno di cibo per esempio, ha bisogno di infiniti strumenti per la propria attività quotidiana ed il capitalismo ne offre sempre di più  a fasce di persone sempre più ampie. Senza strumenti l’uomo non sarebbe in condizione di vivere né di fare null’altro. Ma i mezzi sono una condizione necessaria, ma non sono il fine dell’attività di una persona o della sua vita. Anzi il paradosso è che senza il fine sociale dello sviluppo spirituale dell’uomo il mezzo determina una profonda deformazione della personalità umana, la quale diventa dipendente dai singoli strumenti, dimentica il senso generale del suo agire, in altre parole si aliena da sé. L’assoluta povertà di cui scrive Marx a proposito della deprivazione presente dei sensi fisici e spirituali oggi è diventato il dominio del conformismo sociale e del dominio in generale delle cose e sempre più spesso degli strumenti tecnici in particolare. Il senso dell’avere oggi ha forme tutte nuove, ma possiamo riprendere pienamente il concetto di Marx per cui questo senso dell’avere non è che la semplice alienazione di tutti i reali sensi dell’uomo.

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Tornare a leggere il manoscritto su proprietà privata e comunismo, anteriore all’analisi di Marx della contraddizione fra forze produttive e rapporti di produzione, non vuole affatto rimuovere il problema della proprietà privata nel senso più particolare della proprietà e della gestione dei mezzi di produzione. Nei nostri giorni di crisi economica ci è anzi ancora più chiaro come vi sia una distanza incredibile fra le possibilità che lo sviluppo delle conoscenze umane ha prodotto dal punto di vista della soddisfazione dei bisogni e l’anarchia che impera nel sistema produttivo e finanziario a livello mondiale.

Possiamo però inserire questa discussione in un orizzonte temporale più ampio e in particolare porci la domanda del senso del socialismo in questa coincidenza storica, non quindi all’inizio della sua storia ma in un momento critico di passaggio tra un equilibrio vecchio ed uno nuovo. E porci la domanda del ruolo della socializzazione dei mezzi produzione: un passaggio necessario per una diversa pianificazione della vita economica e sociale, ma di per sé non sufficiente a determinare il passaggio in direzione della società che Marx nei Manoscritti chiama socialista e successivamente comunista.

Per questo tornare a rileggere i primi scritti di Marx, al di là di alcune semplificazioni che vi sono,  significa ampliare e approfondire alcuni temi fondamentali degli scritti del Marx maturo, in particolare tornare a riflettere criticamente sull’esigenza storica e sul senso di una società liberata dalla proprietà privata.

Gi ultimi secoli di sviluppo del capitalismo hanno trasformato il modo di vivere degli uomini come hanno cambiato il loro modo di essere in società e di dare senso alla loro vita sociale. Negli ultimi secoli e negli ultimi decenni tanti vincoli ed obblighi sono venuti meno per gli individui singoli rispetto alle scelte della loro vita, alle loro convinzioni, alle loro relazioni. La modernità ha inaugurato un periodo di nuova fiducia per l’uomo rispetto allo sviluppo delle sue capacità di creare la propria storia e di determinare la propria vita; da un punto in poi la storia in un certo senso si è rimessa in moto e ancora oggi noi siamo in viaggio verso una più alta coscienza delle nostre proprie possibilità. Al punto in cui siamo nel capitalismo dei nostri tempi l’individuo si trova a metà tra l’astratta libertà personale e la realtà di forti modelli di costrizione  e  di conformismo sociale. Nelle società occidentali in particolari ciascuno non fa altro che riferire il mondo esterno ai propri vantaggi, alle proprie singole particolarità in un continuo avvolgere la propria vita attorno al proprio io, ma dall’altro lato la personalità è svuotata di un vero contenuto soggettivo, gli individui sono portati per lo più ad agire secondo movimenti di opinioni e modelli di comportamento stereotipati e ben fissati dalle esigenze attuali della stabilità sociale. Gli individui oramai slegati da alcune costrizioni morali del passato, si pongono apparentemente in modo più disinvolto nei confronti della loro vita, eppure il condizionamento non più così fissato in alcune norme sociali uniche agisce ugualmente e rende ancora gli individui schiavi nella loro vita del loro ruolo sociale, della loro posizione, del loro lavoro, dell’apparenza di ciò che sono per esistere in società in quanto lavoratori rispetto a ciò che sono come essere soggetti umani. Questa la situazione attuale e che, in assenza di una trasformazione sociale, è destinata a peggiorare: individualismo senza individui realmente umani. Il Marx giovane scrive in alcuni punti dell’uomo del futuro, dell’uomo che inizia a venire fuori dal magma della società degli interessi privati e del capitale: come abbiamo visto ne parla nei Manoscritti, d’altra parte nell’Ideologia tedesca vi sono delle parti dedicate a questo tra cui la parte rimasta più nota dell’uomo che dopo il superamento della divisione del lavoro potrà dedicare la propria giornata ad attività diverse, non facendo del tempo della sua vita il teatro di un unico fisso ruolo sociale. Ma anche decenni dopo Marx prende delle chiare posizioni riguardo a questo punto e in particolare riguardo al fatto che il comunismo non sarà il semplice livellamento delle condizioni materiali ma potrà e dovrà includere il principio dello sviluppo degli uomini nelle loro personalità particolari, quindi dello sviluppo libero della personalità delle diverse personalità degli uomini andando oltre le esigenze del mercato che li considera solo astrattamente come lavoratori. Nel Programma di Gotha, trent’anni dopo i Manoscritti e l’Ideologia tedesca, Marx distingue tra la parola d’ordine di «a ciascuno secondo il proprio lavoro» che sarà necessaria nella fase di transizione dal capitalismo a quella di «da ognuno secondo le proprie capacità, ad ognuno secondo i propri bisogni» che dovrà invece essere il principio di organizzazione sociale della nuova società capitalistica in cui lo sviluppo delle forze produttive ed insieme la loro gestione pianificata permetterà di non considerare più il singolo uomo semplicemente come un individuo dotato della sua forza lavoro. Per Marx quindi nel comunismo, dai manoscritti come fino al programma di Gotha, il lavoro cambierà segno, non sarà più un semplice mezzo di vita ma un vero bisogno di vita, potrà cioè essere ciò in cui l’uomo destinerà le proprie energie, le proprie passioni, i propri interessi, cioè potrà essere per tutti ciò che nel capitalismo può al massimo essere per qualcuno, il campo della realizzazione individuale, il modo di trovare se stessi nella propria vita.

Un tempo la religione legava gli individui fra loro, era il riferimento per un’intera comunità, regolava le scelte e i sacrifici di vita, era a disposizione della giustificazione del potere politico, sdoppiando per secoli la vita umana tra la concreta miseria di questa vita e l’illusione di una consolazione futura, delineando un nuovo mondo dopo il mondo, una vera vita dopo una falsa. Dio al giorno d’oggi ha un nuovo posto nella coscienza dei singoli, non tiene più insieme una comunità né convince più ampi strati del popolo alla rinuncia volontaria del piacere di questa vita rispetto a quella dopo la morte. Tuttavia come Marx scrive è vero che la proprietà privata nel suo senso più ampio ha sostituito gli idoli religiosi del passato e regola le scelte e la vita degli individui. Quando il possesso di beni diventa un valore sé e non un mezzo per la vita significa  allora che l’apparenza ha sovrastato l’essere ed il conformismo sociale sta negando lo sviluppo della personalità dei singoli. La morale che ne viene fuori non è più quella tradizionale dei valori e dell’alienazione religiosa, perché non c’è più svalutazione dei beni materiali di questo mondo, ma rimane una morale della rinuncia e della negazione di sé. Nella società borghese gli obblighi che regolano la vita individuale non rispondono più ai comandamenti ma al riconoscimento sociale in termini di successo, denaro, posizione sociale. Fin quando l’organizzazione sociale non consente agli uomini di svilupparsi, la loro sicurezza come persone è delegata a ciò che essi hanno in mano come oggetti come proprietà e al tempo stesso, ancora più oggi nel mondo del virtuale e della rappresentazione, al modo in cui essi appaiono agli altri e riescono ad adeguarsi ai valori e agli stereotipi dominanti. Meno conosci, pensi, ami, vivi e più risparmi scriveva Marx nei Manoscritti. Possiamo aggiungere meno conosci, pensi, ami, vivi e più cercherai la conferma di te stesso nell’adeguamento alla realtà presente.

Insieme con il sistema di produzione capitalistico allora andrà superata anche questa concezione della vita che lega ancora l’uomo ad un’immagine parziale di se stesso, lo lega ancora alla rinuncia a sviluppare le proprie possibilità. Trarre le conseguenze dalla coscienza di vivere un’unica vita, imparando a determinarla criticamente da sé e a ricercare il piacere. Per pensare ad una riscoperta dell’uomo nella società libera dalla proprietà privata, possiamo partire insieme con Marx da questa esigenza presente: dalla ricostruzione di una comunità umana con i suoi nuovi legami e nuovi valori, per poter raggiungere come uomini una più alta coscienza delle nostre possibilità.

 

NOVEMBRE 2008

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