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05
Ottobre 2011

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Inchieste

CONVERSAZIONE CALABRA

a cura di Giulio Trapanese

 

Il testo che segue è il riporto di una conversazione agostana intorno al tema del ruolo della famiglia, avuta con Mariano Mazzullo, giovane intellettuale calabrese…

 

Giulio: Caro Mariano, non voglio farti un’intervista vera e propria, facciamo più una conversazione, tanto si tratta di una cosa improvvisata. Ecco, quello che mi viene da chiederti riguarda la famiglia: secondo te che ne sarà di questa nei prossimi decenni?

 

Mariano: Credo che il destino della famiglia sia quello che è sempre stato, e cioè quello di fungere da solida base per lo sviluppo della società. Checché se ne dica, e per quanto comunque motore della vita e della storia moderna sia l’individualismo, questo individuo rimane comunque un prodotto del suo contesto familiare, contesto che dunque costituisce il suo imprinting originario. Mi sembra che proprio per questo, cioè, a causa del fattore dell’individualismo, la famiglia oggi stia perdendo sempre di più il proprio terreno; come se la storia della famiglia, in un certo senso, stesse annullando la famiglia, e la sua stessa evoluzione la stesse vanificando.

 

Giulio: In che senso, dimmi meglio?

 

Mariano: Nel senso che, quello che credo io, è che l’individuo, dopotutto, è un prodotto della famiglia; però questi, tuttavia, una volta uscito dal suo “stato di natura familiare”, diventa pienamente consapevole e responsabile del suo potere di agire, di fare. Proprio per quest’evoluzione che nei tempi moderni è sempre più sviluppata e sempre maggiore, la famiglia sta andando incontro allora ad una perdita dei suoi poteri forti. Per questo, ad esempio, non si dedicano più le forze collettive a favore della famiglia, e quelle degli individui, che ne fanno parte, a vantaggio di essa. Ormai ciascuno, infatti, non può che prendere la propria strada, e ciò che resta della famiglia è la struttura vuota. Un guscio, quindi, che si può riempire, ad esempio, nelle feste di Natale e Pasqua, ma non più di questo.

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Giulio: Io mi chiedevo se i ragazzi oggi in Italia divengono diversi dalla famiglia da cui provengono o tutto sommato rispecchiano ancora, come trenta o quaranta anni fa, la mentalità che hanno appreso in famiglia. Io stesso, ad esempio, non saprei dire se questa differenza storica sussiste.

 

Mariano: Mah, non lo so. Se rispecchiano quella mentalità è difficile dirlo, perché a primo acchito non si può vedere; è difficile perché bisognerebbe parlare a fondo con le persone per capire se aderiscono ancora a certi schemi, se si sono realmente sganciati da essi. Alle volte anche i tipi più intellettuali o le persone più evolute sono vittime dei loro stessi pregiudizi più antichi. Quindi l’evoluzione intellettuale non è, infatti, sinonimo d’evoluzione né di affrancamento dalla famiglia, anzi tante volte non significa molto di per sé uscire fisicamente o mentalmente dalla famiglia, perché, poi, la schiavitù morale dalla famiglia si mantiene e si vede da altre cose. Si vede, ad esempio, quando bisogna prendere decisioni simili a quelle che i nostri familiari hanno, una volta, preso per noi. Voglio dire, nel momento in cui noi stessi diventiamo soggetti di una nuova famiglia, è lì che si capisce il modo in cui siamo stati prodotti della famiglia, e quanto, invece, siamo riusciti a fare di nostro.

 

Giulio: Ma tu cosa manterresti della famiglia, per come l’hai vissuta tu, nella tua famiglia futura e cosa, magari, invece, cercheresti di non riprodurre?

 

Mariano: Dunque, di quello che ho visto e vissuto nella mia famiglia, manterrei sicuramente il legame, cioè il cercare comunque di rimanere uniti, di non andare ciascuno per la propria strada, e di ricordarsi che si è comunque parte di un qualcosa. Però leverei il fare questo a tutti i costi, ecco questo non dovrebbe mai cozzare, secondo me, con la libertà individuale. Il limite dello stare insieme, d’altra parte, è lo svilupparsi, lo stare da soli. Credo che per stare bene insieme bisogna stare bene anche da soli, soprattutto aver trovato la propria strada. Quindi leverei questo, il dover mettere la parola “tutti” davanti alla parola “Io”. Questo.

 

Giulio: Il problema, secondo me, è come, però, il circolo possa tornare su stesso. Come, cioè, attraverso l’individuazione, si può giungere, successivamente, ad un’unità familiare. Perché a me sembra che la ricerca ossessiva dell’individuazione può diventare anche la causa della disintegrazione, di cui parli anche tu.

 

Mariano: Certamente, ad esempio, Heidegger in Essere e Tempo scriveva, anche se adesso non ricordo bene i termini che usa, della differenza fra essere insieme e trovarsi insieme. Questo essere insieme non è, infatti, una semplice somma di Io divisi, ma un legame collettivo che nasce, indipendentemente, appunto, dalle singole parti. Non è un’individuazione, né una sorta di puzzle, o schema che si compone, nel quale ognuno ha la sua casella come fosse una tabella della tavola periodica la quale combinandosi dà di volta in volta il risultato sperato. Infatti, è così all’interno della famiglia, che oggi funziona. Quello che terrei, invece, come ti ho detto, è proprio questo legame collettivo, che è diverso secondo me dall’assommare le cose…

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Giulio: ha a che fare con il valore?

 

Mariano: Sì, ha a che fare con il valore, valore non tanto di unità, quanto, invece, di appartenenza..

 

Giulio: ma a che fare anche con dei valori particolari?

 

Mariano: Certo.

 

Giulio: Dunque prima credi ci fossero delle àncore maggiori rispetto al luogo, rispetto al contesto?

 

Mariano: Sì, per esempio la radice. La radice collettiva, il posto in cui si sviluppa questa pianta che è la famiglia. Adesso, invece, il luogo è considerato indifferente. Ad esempio, parlando con un amico l’altra volta, egli mi diceva che casa sua corrisponde a tutti i luoghi in cui egli si sente a casa propria. Mah, secondo me questo non è vero per niente. Casa tua è quel luogo che non può essere corrispondente a tutti quei luoghi dove ti senti a casa, ma quello che si differenzia da tutti questi luoghi proprio per qualcosa di preciso e particolare. Quello che diceva questa persona, lo poteva dire soltanto perché spogliava di valore il luogo da cui veniva, cioè non lo considerava come la patria di un perché, di qualcosa che gli appartiene e, quindi, di suo, personale, e che non può appartenere ad un altro luogo. Per lui è semplicemente, invece, un luogo dove si trova bene, per cui se fosse qui, o se fosse lì, la sua famiglia resterebbe tale e quale, la stessa. Io credo, invece, proprio di no. La famiglia è ancorata, infatti, profondamente al posto in cui si è andata sviluppando, quindi anche ai valori del luogo, agli schemi condivisi, ai luoghi comuni, giusti o sbagliati che siano.

 

Giulio: Ti volevo chiedere un’altra cosa. Ma questa idea del legame di cui parli, fa parte, semplicemente, del passato o può fare parte del futuro?

 

Mariano: Questa idea credo debba far parte del presente, perché credo che, in qualche modo, ciò che sto dicendo sia parte integrante della natura. Vale a dire, la natura in sé è determinata da valori, perché questi non sono solo un prodotto culturale o una sovrastruttura. Il fatto che la famiglia sia morale garantisce, in un certo senso, il successo della specie umana. Ma non si tratta solo della specie umana.  Anche, infatti, la sussistenza organica delle altre specie è fondata sulla “natura”, cioè vale a dire sul fatto che ciascun individuo abbia ricevuto un’impronta di valori. Nel mondo animale, questo può significare tante cose diverse: ad esempio, l’apprendimento delle tecniche con cui muoversi nell’ambiente, i territori da prediligere, gli individui da adottare nel proprio clan, e cioè da ammettere all’interno dei propri vincoli sociali. Così, infatti, si riproducono le specie in natura, dai leoni ai moscerini. Ora, sicuramente ci sono delle differenze, tra gli uomini e gli animali, e non è questo che voglio mettere in discussione Tuttavia credo che “la natura” rispecchi le due anime della famiglia: l’individualismo e il valore collettivo, cioè alcuni valori condivisi da tutti gli individui che ne fanno parte e ne fanno la forza. Proprio nel modo in cui queste due cose vengono declinate e messe insieme, d’altra parte, consiste la specificità di una famiglia.

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Giulio: A parte la tua esperienza, come ti sembra che sia messo questo modello “forte” di famiglia?

 

Mariano: Male, messo male, te l’ho detto. Possiamo prendere la frase di quel mio amico come la metafora della nostra situazione storica. Ormai si immagina solo una famiglia virtuale, in astratto, una famiglia che si può anche vedere solo su Skype.

 

Giulio: Quindi anche una famiglia lontana…

 

Mariano: Sì una famiglia che puoi contattare quando vuoi, in qualsiasi parte del mondo tu sia, che non è più collegata a tante cose. Per esempio, ti dico, questa casa in cui vivo, l’estate, alla Tonnara di Palmi, è quasi un ovile della mia famiglia, un sinonimo stesso della mia famiglia, cosa che non potrei fare se pensassi ad un’altra casa, qualunque. Perché? Non perché semplicemente è un luogo in cui abbiamo trascorso del tempo, ma perché è proprio la tavolozza, il pezzetto di legno o di cera in cui abbiamo scritto delle cose, che restano scritte lì. Come per esempio l’altezza, che veniva segnata con delle tacche sul muro, quelli sono dei segni indelebili. Così sono anche i valori della famiglia.

 

Giulio: Forse la famiglia assume importanza anche rispetto al passaggio del tempo. La famiglia, infatti, costituisce un nucleo che, al contempo, rimane e si trasforma nel tempo, e così diventa la misura del suo passaggio. Mentre, invece, quando cambi continuamente i contesti, le famiglie, virtuali o meno, e sei, cioè, astratto da un mondo, diventi soltanto tu la misura del tuo tempo. Invece una casa, o una famiglia sono elementi oggettivi. Si cresce, infatti, guardando crescere gli altri.

 

Mariano: Fondamentale – ti ripeto - non è il luogo in particolare ma il fatto che questo luogo ci sia. Vale a dire, cioè il fatto che quando qualcuno pensa alla propria casa, pensi anche alla sua famiglia e viceversa. Poi, indipendentemente da questo, secondo me, è importante che qualcuno e ognuno all’interno della famiglia faccia qualcosa. Secondo me è importantissimo. Nel momento in cui c’è qualcuno che non assume un ruolo, ma semplicemente sopravvive in essa, allora la famiglia stessa non cresce. Dal momento che la crescita collettiva è un prodotto della crescita individuale e che ci sono queste due anime, il valore collettivo e l’individualismo, allora la famiglia stessa, nel caso in cui il singolo non porta la propria esperienza all’interno della famiglia, non si sviluppa.

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Giulio: Quindi è come se il problema si ponesse quando uno si sgancia dalla famiglia, cioè quando crede di poter fare per sé, di essere più forte da solo, nel momento in cui si separa dalla famiglia.

 

Mariano: Credo di sì.

 

Giulio: Cioè quando non si ha una posizione all’interno del contesto, si finirà, probabilmente con il demolire il contesto…

 

Mariano: Certo, perché non si è più chiamati a confrontarsi su tante cose, che restano, di conseguenza in ombra. E per questo la famiglia non è più capace di affrontarle con criterio e la giusta dose di serietà, o anche di attenzione, soprattutto, perché tante cose finiscono con il passare in maniera indifferente e sotto banco e nessuno se ne accorge più. Per questo il livello della sagacia all’interno della famiglia, di intelligenza collettiva, è fondamentale. Perché la famiglia, in fin dei conti, è come un’equipe. Ognuno dovrà svolgere un ruolo di comprensione reciproca, e ciascuno comprendere delle cose che l’altro non vede di sé. In questo modo ognuno, al tempo stesso, contribuirà alla comprensione di tutti. Se questo non avviene, allora la famiglia diventa semplicemente un branco, un branco in cui gli elementi diversi non stanno bene insieme, convivono soltanto per la sussistenza.

 

Giulio: Ma secondo te quindi, anche la debolezza individuale di oggi dipende molto dalla debolezza della famiglia?

 

Mariano: Sì, secondo me sì.

 

Giulio: Le persone che hanno alle spalle famiglie deboli, frammentate o che hanno subito, insomma, degli scossoni…

 

Mariano: O anche che non credono alla famiglia.

 

Giulio: Non credono più nel contesto, quindi sono anche più deboli?

 

Mariano: Sì, se non credono più nel legame indissolubile e comunque fondamentale (che si può anche sciogliere, però è un punto di partenza). Il legame oggi è visto, infatti, semplicemente come un punto di arrivo, ormai. Tant’è che si dice spesso «ma come ti fai a sposare se non sai prima con chi ti vai a mettere, se non puoi sapere se resisterà la vostra coppia nelle avversità del futuro…», ma questo, casomai, è un punto di arrivo, non un punto di partenza. Quello che succederà, invece, sarà la conseguenza del percorso che si è intrapreso, il risultato di una speranza, di un ottimismo positivo. Se, invece, a monte dei legami fondamentali della società – perché poi, in effetti, la società si fonda anche sul fare i figli, sul formarli, e sul metterli al mondo con dei valori solidi – mancano questi valori, il risultato saranno individui “mezzi e mezzi”, composti a parte, spesso parti assai differenti e tenute insieme solo “perché glielo dice mamma e papà”. Va a finire, insomma, che tanta gente gira per strada e non sa nemmeno chi è, è un po’ di questo, e un po’ di quello, senza essere qualche cosa di definitivo.

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Giulio: Secondo me, tra l’altro, questo fenomeno in Italia è più diffuso perché da noi mancano altri tipi di strutture. Voglio dire, cioè, in Italia, la crisi della famiglia è ancora più devastante, perché colpisce quelli che erano alcuni assi tradizionali della vita. Altrove ci sono ancora nella società contenitori più favorevoli, che possano affiancarsi alla famiglia. Invece qui la famiglia è debole anche perché viene sovrainvestita, e, dalla sua, non riesce a tenere. È sovrainvestita perché la società non permette che i figli possano uscire realmente di casa, non garantisce un lavoro, un salario, non investe sulla vita pubblica nelle città etc.. in questo modo, quindi, continuando gli individui ad investire troppo nella famiglia, ed essendo la famiglia fragile di suo, finisce con il collassare. Ecco credo questo possa essere un modo di…

 

Mariano: Sì, io penso che la famiglia, sia effettivamente importante come stiamo dicendo; però credo anche, che forse, allo stesso tempo, non dobbiamo dimenticare come sia arrivata l’ora che la famiglia, all’interno della società, si metta da parte. Intendo dire che è un processo quasi fisiologico, quello per cui la famiglia, ad un certo punto della nostra storia, arrivi oggi a non avere più tanto potere. Nel senso: era anche arrivata l’ora che la famiglia tracollasse, si svuotasse completamente di importanza, perché oramai già determinate esperienze storiche l’hanno portata al punto di non valere più niente. Cioè, proprio perché sovrainvestita, come dicevi tu prima, alla fine si è verificato un crollo, e adesso si trova a dover fare per due. Sì, ecco, probabilmente è così. Deve fare per due, perché mancano le garanzie sociali, e tutte le assicurazioni rispetto all’esistenza di un futuro per i giovani; e al contempo manca anche il baluardo della famiglia come extrema ratio, e come nucleo fondamentale, perché oramai a quello, in quanto valore perduto, nessuno crede più davvero e, quindi, ognuno va per i cavoli suoi. Ecco, quindi, che credo sia l’insieme di questi due elementi all’origine di una certa disintegrazione di oggi.

 

Giulio: Tu che pensi del fatto che i paesi più sviluppati economicamente, presentano un tipo di famiglia ristretta, con pochi figli e con un numero crescente di separazioni. Come se cioè trovassimo un individualismo maggiore proprio lì dove lo sviluppo è stato maggiore. E invece, dove ci sono difficoltà di lavoro, e miseria, a volte la famiglia è rimasta ancora importante. Ad esempio, anche i ragazzi che vengono dai paesi nord africani qui in Italia, mantengono forte ancora il valore della famiglia. Molto spesso rischiano la vita per arrivare qui, guadagnare dei soldi e mantenere a distanza la loro famiglia. Qualcosa, cioè, che noi, in un altro contesto, non immaginiamo più che sia realmente possibile.

 

Mariano Secondo me la ragione di tutto questo è che, come dicevo prima, l’individuo si sviluppa a partire dalla famiglia. Se la famiglia è sottosviluppata, da un punto di vista economico, come anche da quello dei valori, è naturale che l’individuo tenda ad accrescerla. Ma, nel momento in cui, invece, la famiglia è ben sviluppata, cioè ormai si è usciti da quello “stato di natura” legato alla mera sopravvivenza, ciascuno concentra le proprie attenzioni su altro. E, in realtà, quello che sembra essere un di più di valore, nei paesi meno sviluppati economicamente, probabilmente, è un valore in meno che hanno, proprio perché sostengono la famiglia soltanto da un punto di vista materiale. Cioè vedono la famiglia soltanto come un insieme di persone che devono sopravvivere, e quindi anche loro contribuiscono, fanno la loro parte, ovviamente, per il sostentamento collettivo. Questo di per sé non è sinonimo di vincolo familiare, casomai, invece, è sinonimo di arretratezza economica. Mentre l’individualismo dei paesi più sviluppati economicamente, rappresenta, forse, un destino altrettanto naturale della famiglia. Chissà, questo, in verità non te lo saprei dire. Però quello che è certo è il benessere economico comporta divisioni, e questo in tante cose, non solo nella famiglia. Nel lavoro, nel futuro, nei propri progetti. Stare bene di permette di sognare, di fare tante cose, però ti priva anche della capacità di riconoscere le cose essenziali, di sognare con poche illusioni e vagheggiamenti. Ti priva di concretezza.

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Giulio: D’altra parte, credo, essere ricco ti porta a investire di meno sulla semplice relazione umana, perché tu hai desiderio di fare tante esperienze, viaggiare, avere tante cose. Però sulla relazione in quanto tale non investi più di tanto..

 

Mariano: Pensa al caso della nobiltà seicentesca della Francia, tutto lo sfarzo di Versailles. Ecco quella nobiltà è la nobiltà più ignorante che sia mai esistita sulla terra. Non avevano la benché minima concezione di galateo, d igiene, né figuriamoci di cultura erudita, perché non si impegnavano assolutamente a ricercare qualche cosa che avrebbero potuto avere comunque. Questa, tra l’altro, potrebbe essere la metafora dotta di Ebay, di Internet, del mercato globale. Cioè il potere avere, quello che vuoi, in un clik, di priva della capacità di sognarlo, di desiderarlo con fantasia, con l’immaginazione…

 

Giulio: D’altra parte, in ultima analisi, questo priva di senso la cosa,  se una cosa non l’aspetti, infatti, e non ci speri…

 

Mariano: Sì, infatti, credo che l’ottenimento di qualcosa è soltanto l’ultimo passo di una catena di desideri e di volontà, che ti spingono a fare quel qualcosa. Anzi, addirittura Aristotele – fammi fare questa citazione erudita – nel De anima, sosteneva che l’attrazione per l’oggetto del desiderio anche in un contesto non morale, ma puramente naturale (anche quindi il desiderio di un pezzo di pane o d’un bicchiere d’acqua) è già un ancestrale e connaturato sintomo della morale, che è intrinseco alla natura. Il fatto che noi sentiamo una catena di desideri, quindi, che ci portano poi ad agire, fa dire ad Aristotele, che nella natura sia già presente un presupposto morale..

 

Giulio: Spiegami meglio.

 

Mariano: Cioè se hai fame e sei di fronte ad un pezzo di pane, così come le azioni che si compiono per soddisfare un bisogno e di cui si sente di avere necessità, sono vere e proprie azioni morali per Aristotele, cioè hanno in se stesse una programmazione morale. Perché non è semplicemente un fatto meccanico: noi, infatti, ci cibiamo di qualcosa, solo dopo che l’abbiamo desiderato, ed elaborato attraverso il desiderio e la volontà. Questo è il presupposto morale di ogni azione. Cioè c’è una deliberazione…

 

Giulio: Sì, adesso, capisco meglio quello che vuoi dire..

 

Mariano: Ormai, invece, il click del mouse è fondamentalmente la deliberazione virtuale, cioè ti priva della capacità di scegliere e di deliberare sulle cose, specialmente quando queste sembrano equivalenti per la tua felicità. Ma il click ti impedisce, nei fatti, di compiere quest’azione con il pensiero, perché si sostituisce a te, e tu clickkando credi di sapere già quello che vuoi, ma senza però averlo desiderato…

 

Giulio: Va bene, caro Mariano. Dire, allora, che la prossima conversazione potrà essere sulla virtualità…

 

Mariano: No, la prossima sarà l’intervista che io farò a te sul senso della politica oggi.

AGOSTO 2011

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