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07
Maggio 2012

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Esperienza e rappresentazione

BIOPOLITICA E FINE DELLA STORIA

Mariano Mazzullo

 

Il nesso tra a politica e la Storia è visibile a tutti, persino nella vita di tutti i giorni lo diamo per scontato. Se guardando un notiziario in Tv non sentiamo alcuna notizia sulla politica, abbiamo come l`impressione che non sia successo niente. Possiamo leggere sul giornale che 10 uomini sono caduti per mano di un uomo semplicemente impazzito, senza che questo ci dia la minima impressione del cambiamento. Certo un simile fatto non smette di suscitarci sdegno e pietà, ma non ci suggerisce alcuna sensazione di mutamento, evoluzione, storicità. Potremmo assistere ogni giorno, per secoli e con estrema regolarità, al succedersi di eventi grandiosi, terribili o impressionanti, senza per questo assistere al benché minimo mutamento storico. La storicità di un fatto, ciò in virtù del quale esso costituisce un evento, è legata piuttosto al suo contenuto ideologico o etico-politico, al valore che rappresenta o a cui si oppone.

Se la mano di quell`uomo che compie un assassinio viene armata, oltre che della sua follia, da un ideale, fosse anche un ideale ripugnante, un solo uomo ferito per mano sua sarà stato ferito per mano della storia. Al contrario del semplice succedersi di fatti personali, di fronte ad un simile evento, motivato da una ragione che trascende il movente del singolo, abbiamo l’impressione che si concentri un cambiamento o la sua possibilità. Forse dacché l`uomo ha preso coscienza della Storia siamo abituati, sebbene con troppa facilità, ad identificare un certo periodo con i suoi scenari politici, ed è forse in virtù di questa abitudine che le ere dell’uomo prive di politica ci sono meno facilmente comprensibili. Ma se per politica si intende il sistema organizzato delle forze politiche, la sua fratellanza con la Storia non è niente di più di un’ipotesi storiografica. Se invece col termine politica ci riferiamo alla più generale orbita delle contrapposizioni di valori e credenze, è inevitabile riconoscere che laddove venga meno questo terreno di “polarizzazioni”, viene automaticamente meno anche la Storia. Se tutti andassimo d’accordo ci sarebbe ancora una Storia in fieri? Non credo.

Chiediamoci allora: cos’hanno in comune il regno del mutamento e quello delle “opposizioni”? Forse Hegel avrebbe risposto: “la conciliazione”, o meglio: la mediazione degli opposti, cioè la conservazione di quanto c’è di positivo e di produttivo in ogni superamento. Ma al di là delle possibili interpretazioni, resta comunque un dato di fatto che la Storia, sia essa regressiva o progressiva, è legata al dialogo e all’opposizione tra diversi modi di intendere l’uomo, anzi sembra proprio che essa si produca laddove si incontrano o collidono diversi valori.

Poniamo che le cose stiano davvero così e prendiamone atto. La prima conseguenza che intuitivamente cogliamo è che la Storia possa avere dei vuoti, delle interruzioni o addirittura una fine. Questa ipotesi estrema e apparentemente fantasiosa, è in realtà diretta conseguenza di una lettura della Storia come tensione, contrapposizione e scontro di valori, tutta rivolta al superamento, una lettura che con un po’ di riduzionismo possiamo definire “politica”. Se abbiamo citato Hegel, e altri ancora avremo bisogno di scomodare, non è per fare un approfondimento di qualche tema forte, ma per leggere meglio il nostro tempo, guardando di sguincio attraverso gli occhiali di qualche saggio una situazione particolarmente carente di Storia e di politica.

Se, a quanto pare, Storia e politica sono legate a doppio filo, di conseguenza non può esserci Storia che non veda due opposte visioni del mondo scontrarsi, e così generare idee e valori che, con le loro consistenti differenze, riempiono i quadranti degli orologi di un senso storico. Il senso del tempo, o  potremmo anche dire il suo contenuto storico, è perciò la ricerca di un senso da parte di molteplici sensi, molteplici modi di intendere la vita e la società umana. Il peso della Storia, dunque, vive solo se posto al centro di questa bilancia, al centro di un intreccio di rette divergenti, nel vortice di un movimento di continue differenziazioni e trasformazioni della realtà, vortice che rappresenta la possibilità e il baricentro della Storia.

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Secondo la famosa massima hegeliana l’uomo è un animale storico solo finché nega sé stesso, cioè si oltrepassa, è quell`animale che per essere tale deve costantemente non riconoscersi tale, come ebbe a dire il grande naturalista svedese Linneo. Tirando un po` di somme: se la Storia è dialettica, la dialettica, specie se la vita activa dell`uomo è il suo argomento, è politica. È dunque la politica a rappresentare quella continua diversione e fuga dalla morta materia, dal semplice accidente naturale, verso una costante trasformazione del presente in un avvenire?

È lampante, anche solo dando un’occhiata al momento attuale, come investire di una così nobile autorità un baronato preoccupato solo di mantenere i suoi privilegi, sia solo un eccesso di teoria. Tuttavia in linea di principio le cose dovrebbero stare proprio così: la politica dovrebbe cioè scandire la dialettica storica. Ma dopo una così radicale presa di posizione occorre fare almeno qualche precisazione.

Prima abbiamo definito en passant la dialettica come sintesi del molteplice e del contrapposto, in realtà nella Storia (come in ogni altro processo), riducendo tutto il discorso ai suoi minimi termini logici, dialettica vuol dire scambio degli opposti, capovolgimento delle posizioni. Hegel chiamò questa peculiarità dialettica (della Storia) “riconoscimento” di sé nell`altro. Si tratta perciò di un meccanismo che oppone di continuo, e in posti continuamente invertiti - altrimenti non ci sarebbe alcun movimento ma solo uno “spostamento” delle medesime posizioni – l’io e l’altro, identità e alterità. Hegel per primo, ma ancor più e meglio di lui alcuni filosofi e psicologici, come Bataille per esempio, hanno evidenziato come il processo dialettico si realizzi, sì, in una relazione con l`altro uomo, in un mondo e in una società, ma affinché sia davvero dialettico deve sempre prodursi anche all’interno del singolo uomo. Un gioco di mantenimento ed equilibrio, di scambio e riassestamento tra a sua propria identità e l`alterità che gli appartiene. In questo quadro possiamo concludere che la Storia è, sì, un mutamento esteriore, ma che ha bensì come condizione una dialettica interiore, un costante ristabilimento e riaffermazione dell’umanità dell’uomo. L’alterità infatti non è che un in-umanità, è cioè parte dell’uomo, ma non gli aderisce come un attributo, piuttosto convive con esso come parte totalmente estranea e tuttavia implicata nella sua essenza. Nel caso dell’uomo perciò la Storia, e dunque la dialettica, consiste nel confronto con quella estraneità essenziale che è la parte animale di sé, non nel reprimerla o rabbonirla - come vorrebbe un banale progressismo/storicismo - ma nello scambio ed equilibrio con essa, lasciandogli cioè lo spazio vitale che gli spetta. Michel Foucault, che a lungo ha indagato le forme e i meccanismi del potere, afferma che è nell’intensificazione del valore simbolico del corpo, del suo valore tanto empirico quanto culturale che si incentiva una forma di soggezione, di cui il soggetto è il principale artefice. Senza dilungarci tropo sulle sottigliezze delle conclusioni di Foucault, diciamo che egli conia il termine “biopolitica” per definire la gestione del potere inaugurata nel ‘600 con la creazione dello Sto amministrativo e dei suoi apparati burocratici; diciamo inoltre che la biopolitica è un dispositivo di potere basato su meccanismi di soggezione psicologica il cui principale focus consiste nel rapporto col corpo e in particolare con la sessualità dell`individuo. Sorvolando sulle basi storico-culturali che portano Foucault a sostenere questa teoria, egli in sostanza vuole dirci che il potere nell’epoca attuale si basa su una specie di interruzione, nel soggetto, della sua dialettica mente-corpo, del suo quieto dualismo uomo-animale, un’estetizzazione del corpo, che passa anche attraverso la banalizzazione e la volgarizzazione, ma che in generale mantiene e irrigidisce un solo aspetto di quella dialettica che fa dell’uomo un essere storico, che fa del mondo il luogo della Storia.

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Ma veniamo al punto. L`ipotesi di una fine della Storia, letta in questa chiave antropologica, non è poi così fantascientifica e millenarista, Hegel per primo ne aveva riconosciuto l’eventualità, molti altri la svilupparono accuratamente. Tra questi innanzitutto Alexandre Kojeve, il quale vede chiaramente la fine della Storia nella fine dell’umanità dell’uomo, nella sua sopravvivenza come essere puramente biologico, privo cioè dello Spirito di auto-trasformazione. Bataille, che criticò aspramente quest’idea intellettualista e umanistica di Storia, ammetteva che se di fine si deve parlare, lo si può fare solo in merito ad un’interruzione della dialettica interna all’uomo prima che nel campo delle opposizioni sociali, ma si ribellava all’idea kojeviana per cui un’umanità senza spirito ma ancora in possesso di una parte della sua essenza, come il riso, il sesso, il gioco, quella che il razionalismo hegelo-kojeviano liquida brevemente come residuo biologico, dovesse rappresentare una forma di non-storia. Bataille vede invece la fine della Storia nella diffusione di un’etica borghese in cui il lavoro non trasforma né produce, ma semplicemente garantisce la sussistenza, un’etica che fa il gioco del padrone nel valore del consumo e del non-contatto con l`oggetto del lavoro, bloccando così quella dialettica primitiva tra il servo e il padrone, in cui Hegel aveva scorto l’origine della Storia, tutta fondata sul potere trasformativo del lavoro. Il corpo, la concretezza della vita animale, la parte meno spirituale dell’umanità, è perciò al centro dei meccanismi di un potere indiretto, che non si vede e non si celebra mai, potere politico e dialettico nelle cui mani si concentra la fluidità della Storia, il suo svolgimento o la sua interruzione. È chiaro che nel nostro mondo il corpo ha assunto il primato all’interno dell’essenza dialettica dell’uomo, ma come possiamo focalizzare meglio alla luce di quanto abbiamo visto, ciò non avviene solo per una preponderanza passeggera, ma perché il nuovo esercizio del potere si incarna su di esso, sulla sua esagerazione, causando quello stand-bye della Storia che stiamo tutt’ora vivendo. I due fenomeni apparentemente incompatibili, ossia l’assenza di Storia e il primato del corpo, sono in realtà prodotti di uno stesso modello culturale del potere, una crisi tra il corpo libero, baluardo di libertà ed intimità, e il potere politico.

Forse la corruzione morale della politica, lo smercio e il ludibrio televisivo di prostitute, il primato del sesso all’interno del primato della politica, è solo un gioco di matriosche del biopotere.

 

FEBBRAIO 2012

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