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08
Ottobre 2012

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Transizione

Il Discredito Patologico nella Scienza Moderna
Ovvero: su come possa divenire molesta l’evidenza empirica

Roberto Germano*

Esistono molte scienze,

 ma pochi scienziati

(Proverbio arabo)

Padre, nonno, bisnonno, …arcavolo.

Se sei un ultraquarantenne come me, devo purtroppo rivelarti che tuo padre da ragazzo non sapeva nulla della deriva dei continenti, che invece tu hai tranquillamente studiato a scuola. Anzi, se per caso ne avesse sentito parlare, ne avrebbe sentito dire peste e corna! Gli argomenti a favore della “deriva dei continenti”, compresi da Wegener già nel 1912, erano che le coste del Sud America e dell’Africa si corrispondono a incastro (già Bacone nel 1620 l’aveva detto), e che si trovano fossili e rocce similari sulle due coste, e che c’è del carbone in Antartide (e quindi alberi nel passato, il che implica un clima molto diverso dall’attuale). L’argomento contrario: i continenti non possono spostarsi! Il che ci fa capire quanto facilmente la “comunità scientifica” possa liquidare delle “idee bizzarre”, malgrado siano supportate da forti evidenze. Poi pian piano altre osservazioni geologiche portarono alla teoria della tettonica a placche. Wegener ne parlò fin dal 1912; eppure, ancora 40 anni dopo, cioè fino agli anni ’50 del xx secolo, i commenti degli scienziati di fama erano di questo tipo: un parto della fantasia; vaneggiamenti di un malato grave della malattia della rotazione della crosta e dell’epidemia dello spostamento dei poli; ricerca del tutto fallita; come possa muoversi un continente, formato da uno spessore di ben 35 chilometri di solida roccia, non è mai stato spiegato veramente; non dovremmo prendere sul serio la deriva dei continenti; si tratta del sogno di un grande poeta. Quest’ultimo è stato il più buono.

Tuo nonno ignorava che le meteoriti hanno origine extraterrestre. Certo, gli argomenti a favore erano gli avvistamenti, nonché le pietre trovate sul sito dell’apparente atterraggio, spesso calde. Argomenti contrari, ma scorretti, erano quelli molto diffusi del tipo: «gli oggetti che cadono dallo spazio contraddicono le leggi della meccanica», «non ci sono pietre nel cielo al di fuori della Terra». C’erano poi spiegazioni alternative: «le meteore sono illusioni ottiche, oppure sono pietre colpite dai fulmini». Lo stesso Lavoisier aveva affermato che le meteore non potevano certo essere pietre che cadevano dal cielo per il semplice motivo che nel cielo le pietre non ci sono... Effettivamente c’era poco da discutere! Ma, ricordiamo che fino al 1905 si pubblicavano articoli scientifici su riviste scientifiche internazionali in cui si sosteneva che si trattava di pietre colpite da fulmini. Un motivo di chiarimento finale fu un meteorite abbastanza grande che cadde vicino Parigi…

Il bisnonno, invece, aveva un altro “problema”: la presunta “impossibilità teorica” del volo umano a motore. Giusto per citare un esempio, nello stesso periodo in cui stava per esplodere nel mondo la febbre dei biplani (a partire dal primo volo a motore registrato ufficialmente, in Francia, effettuato dal brasiliano Alberto Santos-Dumont il 12 Novembre del 1906), il professore di matematica ed astronomia alla Johns Hopkins University, Simon Newcomb, aveva pubblicato un articolo sul The Independent che “dimostrava” scientificamente l’assoluta impossibilità del volo umano a motore, che avrebbe richiesto, a suo dire, la scoperta di qualche nuova forza della natura!

Il tuo trisavolo non si fece convincere affatto facilmente che alcune malattie sono dovute ad entità invisibili! Nel 1847 il medico svizzero Ignaz Semmelweiss intuì una cosa che per noi oggigiorno è banale, ma è che all’epoca sembrava semplicemente assurda! Semmelweiss notò che le giovani partorienti morivano in gran numero, a causa di una misteriosa “febbre puerperale”. Come mai? Ora lo sappiamo: perché c’era un gran numero di infezioni in giro, dovute a microorganismi invisibili ad occhio nudo, anche perché i medici non si lavavano né le mani né gli strumenti, e spesso dopo aver dissezionato i cadaveri andavano direttamente a far partorire le donne! Ebbene, i colleghi lo trattarono letteralmente come un folle, per diversi anni... Pubblicò finalmente un libro: ancora peggio! Infatti, fu davvero rinchiuso in manicomio, dove morì, a seguito di una ferita conseguente ad una colluttazione con un infermiere e successiva setticemia... L’ironia della sorte.

Il tuo arcavolo, poi, trattò il famoso Michael Faraday come un ciarlatano, quando annunciò di poter generare una corrente elettrica semplicemente muovendo un magnete in un avvolgimento metallico, cosa oggi ovvia, che si utilizza ad esempio nella dinamo della luce della bicicletta. Eh si! Che nesso poteva mai esserci fra la “nobile” e moderna elettricità e il “magico” e primitivo magnetismo?

Facile fare satira sul passato e ridere (o piangere) della presunta ingenuità dei nostri avi… ma, che succede oggi?

 

La struttura organizzativa della scienza moderna, a livello istituzionale, è tale per cui essa tende a risultare supinamente dipendente dai finanziamenti pubblici e/o privati, con la sua conseguente ovvia subordinazione al potere politico e/o economico, laddove i due aspetti tendono oramai a coincidere nel “mondo occidentale”.

Ciò spesso impedisce di “riconoscere” – per un utilizzo diffuso ed utile alla collettività - un’innovazione radicale, molto più di quanto già non accadesse nel passato. È ovvio che si debba essere “idonei” a ricevere fondi pubblici solo se si è individuati quali “esperti” in qualche campo, vero?!

«La navigazione a motore è un sogno infondato, anzi si tratta di un imbroglio bell’e buono!»

Al subconscio degli esperti della navigazione a vela doveva risultare davvero difficile entusiasmarsi di fronte ai nuovi battelli a motore che azzeravano in un sol colpo tutto il loro know-how e con esso il loro potere! Se poi fossero stati al tempo stesso possessori di flotte di navi a vela per uso commerciale, possiamo immaginarci il risultato. Mentre è ovvio che i militari cercavano di non diffonderne l’uso e la conoscenza per averne un vantaggio in guerra…

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Patologie varie

Il Premio Nobel per la Fisica Brian David Josephson – esperto di superconduttività, padre delle oramai notissime “giunzioni Josephson”, e professore presso il Dipartimento di Fisica dell’Università di Cambridge – negli ultimi tempi parla spesso di Pathological Disbelief (Incredulità Patologica). Si tratta di un ovvio riferimento all’ormai abusata espressione: Pathological Science (Scienza Patologica), ritornata di moda negli ultimi anni, ma che fu coniata mezzo secolo fa dal chimico-fisico statunitense Irving Langmuir (1881-1957, premio Nobel per la Chimica nel 1932) in una sua conferenza del 1953, presso la General Electric, nei cui laboratori di ricerca aveva lavorato per la maggior parte della sua vita. Langmuir cita una serie di esempi, in cui, malgrado la perfetta onestà e l’entusiasmo degli scienziati protagonisti, si genererebbe un fenomeno psicologico, che si può chiamare “autoinganno”, e che condurrebbe a “vedere” dati sperimentali e fenomeni nuovi laddove non ce ne sono, e che, infatti, non resisterebbero ad ulteriori esperimenti da parte di altri ricercatori indipendenti.

Le caratteristiche distintive della “scienza patologica”, secondo Langmuir, sono:

- l’effetto massimo osservato si produce per una causa di intensità appena misurabile, e l’ampiezza dell’effetto è in pratica indipendente dall’intensità della causa;

- l’effetto ha un’ampiezza che prossima al limite di sensibilità dello strumento; oppure sono necessarie molte misure a causa della bassa significatività statistica dei risultati;

- l’accuratezza dichiarata è eccezionale;

- c’è bisogno di teorie “fantastiche” contrarie all’esperienza;

- le critiche sono affrontate con scuse “ad hoc” estemporanee;

- il rapporto percentuale tra sostenitori e critici raggiunge circa il 50%, ma poi l’attenzione verso il presunto fenomeno decade gradualmente fino alla totale dimenticanza.

 

Il premio Nobel per la Fisica Brian Josephson, però, fa giustamente notare che la visione “generalmente accettata” di un fenomeno può essere sbagliata in due modi:

a) un fenomeno non esistente viene considerato reale;

b) un fenomeno reale viene considerato inesistente.

 

Come mai, in alcuni casi, buona parte dell’establishment scientifico nega veementemente dei fenomeni per cui esistono forti evidenze sperimentali? Abbiamo accennato prima a due eclatanti esempi, seppur ormai “risolti”, del passato. Josephson, però, considera anche altri casi, questa volta del presente, e per di più ancora considerati “irrisolti” da molti. Cominciamo dalla cosiddetta Fusione Fredda.

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La Fusione Fredda

Accenniamo di che si tratta: oltre un paio di decenni fa, il 23 Marzo 1989, Martin Fleischmann e Stanley Pons dichiararono di aver misurato eccessi di calore in una cella elettrolitica Palladio-Deuterio in quantità troppo elevate per essere comprese se non tramite un fenomeno nucleare. Altri, però, non riuscirono subito a riprodurre l’effetto, e in sole 5 settimane il “caso” fu dichiarato chiuso da un comitato opportunamente creato per “giudicare” i due scienziati: durante una movimentata seduta dell’American Physical Society, svoltasi il 1° Maggio dello stesso anno (1989) a Baltimora, gli interventi di Steven Koonin, Nathan Lewis e Charles Barnes del Caltech (California Institute of Technology) furono determinanti per decretare la cosiddetta Fusione Fredda fuori dal contesto della “buona scienza”. Barnes “dimostrò” che non c’erano neutroni, Lewis che non c’era calore, e Koonin che non c’era teoria. La “normalizzazione” fu fin troppo facile: le affermazioni sulla Fusione Fredda erano rivoluzionarie e l’esperimento era tutt’altro che facilmente riproducibile. Inoltre, anche quando sembrava avvenire l’emissione anomala di calore, non vi era associata una grandissima emissione di neutroni, come invece previsto dal paradigma corrente. Cioè, in sintesi:

1) non conosciamo alcun processo che possa generare una tale quantità di calore come quella riportata da Fleischmann e Pons e che allo stesso tempo non generi molte più radiazioni di quelle da essi osservate;

2) gli esperimenti non sono immediatamente riproducibili da altri, quindi le osservazioni devono essere sbagliate.

Il piccolo particolare che il calore comunque si generava, ed in enorme eccesso rispetto a fenomeni puramente chimici, fu messo in secondo piano… Inoltre il fenomeno è poi stato replicato in moltissimi laboratori in giro per il mondo, mostrando sempre più ricche fenomenologie di tipo nucleare.

 

Inoltre, chi ha un minimo di esperienza di ricerca sperimentale sa cosa significhi metter su un nuovo esperimento e svolgere una campagna di misure “interessanti”. Emettere un “sentenza definitiva” soltanto 5 settimane dopo l’annuncio è un fatto intrinsecamente dubbio. Riguardo alla riproducibilità, poi, si può ricordare che anche le prime trasmissioni di onde radio di Guglielmo Marconi non erano “riproducibili”. Ora se ne conosce il motivo (i venti solari che influenzando l’alta atmosfera perturbavano distruttivamente i già debolissimi segnali), ma allora era un problema per Marconi schivare queste critiche, indiscutibilmente razionali, dei numerosi detrattori. Le superò, poi, definitivamente, nel modo che conosciamo: realizzando la radio.

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Ciò che sembra avvenire nella Fusione Fredda è una fusione tra nuclei di Deuterio. Naturalmente i nuclei, essendo composti da un protone (carica positiva) ed un neutrone (carica nulla), sono carichi positivamente e quindi sono sottoposti ad una notevole repulsione, tanto più forte quanto più li si vuole avvicinare. Se si riesce ad avvicinarli abbastanza, invece, prevale la cosiddetta “forza nucleare forte”, quella che tiene uniti i nuclei, composti da neutroni e protoni. Così i nuclei si fondono. Provare a immaginare che ciò possa accadere in un piccolo esperimento da laboratorio, mentre nelle stelle la fusione dei nuclei avviene a milioni di gradi di temperatura, è obiettivamente difficile. Ma il peggio non è questo. Il fatto è che quando due nuclei di Deuterio si fondono, danno origine momentaneamente ad un insieme “bollente” di quattro nucleoni, omologo all’isotopo dell’Elio detto Elio4 (ha 4 nucleoni: 2 protoni e due neutroni), ma stracarico di energia.

Questo insieme così energetico è altamente instabile e non vive a lungo, in quanto tende a cedere questa sua grande energia, e se il sistema è chiuso e isolato (non scambia materia ed energia con l’esterno), l’insieme si deve spezzare. Con una probabilità circa uguale avvengono due tipi di frammentazioni: o salta via un neutrone e un nucleo di Elio3, oppure salta via un protone e un nucleo di Trizio (l’isotopo dell’Idrogeno che ha un neutrone in più del Deuterio). In realtà, è molto importante sottolineare, che c’è anche un’altra possibilità. Quest’ultima possibilità, però, è generalmente rarissima (in condizioni “normali”, cioè nel vuoto, avviene una volta ogni milione di eventi). In questo caso l’insieme non si spacca, ma, invece, salta via un nucleo di Elio4, insieme ad un energetico fotone ad alta frequenza (raggio gamma). Ciò è spiegabile teoricamente col fatto che il sistema dei quattro nucleoni “bollenti” potrebbe trovare il modo di scambiare energia coll’esterno (quindi non essere più un sistema chiuso). Naturalmente, tale scambio energetico non può essere basato su di un meccanismo termico perché i tempi tipici dei fenomeni nucleari sono dell’ordine di 10-21s, cioè incomparabilmente più brevi dei meccanismi termici. Lo scambio energetico deve, invece, avvenire tramite un meccanismo elettromagnetico, la qual cosa è rarissima di norma, ma vedremo che può diventare invece il meccanismo principale, in determinate condizioni di “coerenza elettrodinamica”.

Nel caso della Fusione Fredda, accade che rispetto alla gran quantità di calore rilevata, che dovrebbe essere generata dall’energia cinetica dei numerosi frammenti, la quantità di prodotti nucleari è, invece, davvero esigua, perché il terzo caso sopra discusso, invece di essere rarissimo diviene, al contrario, il meccanismo principale. Secondo la “norma”, invece, Fleischmann e Pons sarebbero dovuti morire a causa dell’irraggiamento nucleare.

Come sentire un silenzio di tomba in una discoteca stracolma di gente: irreale, per il paradigma dominante.

 

Impossibilità della Fusione Fredda?

E se, invece – come abbiamo appena accennato – le reazioni nucleari nei solidi, in certe condizioni, potessero avvenire in maniera del tutto diversa dal modello corrente? Se ponessimo la domanda ad un qualunque professore di fisica (tranne alcuni), la risposta sarebbe nettamente negativa per almeno tre ordini di motivi, che si può provare ad esprimere in maniera abbastanza intuitiva, ma che, ovviamente, sono anche sorretti da un complesso formalismo matematico.

Ci può essere differenza fra una reazione nucleare che avviene nel vuoto e una reazione nucleare che avviene in un solido cristallino? No!

Perché:

- in primo luogo, le distanze interatomiche tipiche di un reticolo cristallino sono semplicemente enormi rispetto alle dimensioni dei nuclei di Deuterio.

Una formica non cambia vita se sta nel giardino della Reggia di Caserta piuttosto che in quello di una qualsiasi villetta;

- in secondo luogo, i tempi tipici di svolgimento degli eventi nucleari sono talmente più brevi (circa un miliardo di volte) rispetto a quelli di oscillazione di un reticolo cristallino che quest’ultimo risulta praticamente “congelato” durante l’evento. Per capire l’enorme differenza, basti pensare che un miliardo di secondi corrisponde a circa 32 anni.

Per una farfalla “effimera”, la cui vita dura una giornata, un nubifragio di un quarto d’ora rappresenta una tragedia significativa della sua vita, mentre per un elefante centenario è solo una bella doccia;

- in terzo luogo, l’energia emessa in una reazione nucleare è talmente grande che il metallo non avrebbe modo di assorbirla.

Le cascate del Niagara su una spugna da bagno.

 

Quindi la fusione nucleare “fredda” è assolutamente impossibile. Almeno così è nel paradigma dominante. Niente di sconvolgente: anche il Sole è impossibile secondo il paradigma dominante. Infatti, secondo il modello teorico generalmente accettato che cerca di rendere conto del funzionamento del Sole (il cosiddetto “modello standard” del Sole) ci si aspetterebbe di rilevare una certa quantità di particelle dette neutrini. Così non è. Se ne rilevano meno. Questo fatto è comunemente noto come l’enigma dei neutrini mancanti. Ma, fino ad ora, ben pochi hanno messo in dubbio l’esistenza del Sole.

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Pseudoscettiscismo

Josephson fa notare che il comportamento collettivo della “comunità scientifica” che scaturisce da queste descrizioni ha una componente patologica, nel senso che le conclusioni a cui essa è giunta sono diverse da quelle a cui sarebbe approdata se avesse esaminato i dati disponibili con maggiore obiettività, cioè senza avere così netti pregiudizi iniziali. In effetti, tutto avviene come se ci fossero delle intense “forze di propaganda” in azione. In ogni caso, non si tratta certo di sano e puro “scetticismo”. Ricordiamo, infatti, che il termine “scettico” deriva dalla parola greca: σκέπτομαι  (sképtomai) = “osservo”, che possiede anche gli altri significati di: considerare, esaminare, guardare attentamente, riflettere. Secondo alcuni, l’origine del termine “scetticismo” risiede, invece, nella parola greca Σκέψις (sképsis), che vuol dire "ricerca". In ogni caso, nulla a che fare con il “bastian contrario”, dunque, che nega aprioristicamente ciò che non è previsto dai suoi modelli!

Josephson descrive appunto uno schema comportamentale di coloro che potremmo chiamare “pseudoscettici”, in quanto tale figura psicologica si autodefinisce scettico senza averne le caratteristiche distintive:

- non esprimono le loro critiche in quei contesti in cui sarebbero soggetti a peer review, vale a dire “revisione dei pari”, come invece si fa (si deve fare) quando si pubblica su riviste scientifiche internazionali;

- non vanno in laboratorio a svolgere l’esperimento insieme agli sperimentatori che essi criticano, né provano a riprodurre l’esperimento per proprio conto;

- fanno delle asserzioni in maniera tale da sottintendere che sono basate scientificamente, mentre sono soltanto congetture;

- utilizzano, a piene mani e senza scrupoli sia satira, che ridicolizzazioni, fino a giungere a veri e propri insulti;

- quando si mostra loro delle possibili spiegazioni, avanzano delle ragioni ad hoc per rifiutarle. Queste ragioni spesso consistono in una brusca affermazione che le spiegazioni violano qualche legge di conservazione.

-  rifiutano totalmente l’evidenza se non risponde ad ogni possibile domanda fin dall’inizio.

 

Brian Josephson individua dei “fattori di rischio” che, in effetti, hanno facilitato questi sviluppi nel caso della Fusione Fredda:

1. gli annunci furono drammatici, e apparvero non in accordo con la conoscenza preesistente;

2. i critici per la maggior parte lavoravano in ambiti differenti rispetto a quelli rilevanti per la ricerca vera e propria (es. fisica nucleare o fisica dei plasmi, in contrapposizione a elettrochimica e calorimetria). Ciò può condurre a problemi sulla valutazione della metodologia sperimentale, e a focalizzare su dettagli irrilevanti, oltre al “fattore tribale” di appartenere a una differente “comunità scientifica”;

3. la riproducibilità non fu immediata, poiché era condizionata sia da dettagli metodologici sia dai materiali utilizzati;

4. prevalenza immediata dell’approccio aggressivo.

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Una nuova arma nucleare tattica

Un altro fattore che ritengo importante aggiungere a quelli individuati da Josephson è senz’altro l’interesse militare.

Infatti, la Fusione Fredda sembra ricondurci direttamente ai cosiddetti proiettili all’Uranio impoverito, proprio in quel periodo (’90) utilizzati dagli USA per la prima volta nella I Guerra del Golfo, e la cui tecnologia (secondo lo stesso Fleischmann) sembrerebbe basarsi su tecniche e fenomeni strettamente correlati a quelli evidenziati da lui stesso a da Pons nell’89. Questo farebbe anche comprendere il perché degli “annunci drammatici”, fatti tramite l’inusuale mezzo della conferenza stampa (Fleischmann ha ammesso indirettamente, ma chiaramente, che era pedinato da ambienti militari in quei giorni critici a cui seguì la tanto biasimata conferenza stampa). In effetti, sono già alcuni anni che questo possibile nesso si è fatto strada al di fuori degli ambienti militari; se ne sono occupati alcuni anni fa anche i coraggiosi giornalisti di rai news 24 nelle inchieste:

- Il Rapporto 41, Fisica e metafisica di una rivoluzione scientifica scomparsa di Angelo Saso, Maurizio Torrealta;

- Khiam, sud del Libano: anatomia di una bomba (Premio “Ilaria Alpi” 2007) di Flaviano Masella, Angelo Saso, Maurizio Torrealta;

- Gaza. Ferite inspiegabili e nuove armi (Menzione speciale della fnsi al Premio “Cronista dell'Anno, Piero Passetti” 2007) di Flaviano Masella, Maurizio Torrealta;

- Polveri di guerra. Uranio a Beirut di Flaviano Masella, Angelo Saso, Maurizio Torrealta;

- L’accusa del veterano: la terza bomba nucleare di Maurizio Torrealta.

 

Inoltre è da poco anche stato pubblicato un bel saggio romanzato su questa “scottante” tematica, scritto da Emilio Del Giudice, e Maurizio Torrealta di rai news 24: Il segreto delle tre pallottole.

 

In pratica, saremmo di fronte ad armi nucleari (vere e proprie mini-bombe a fissione), ma “tattiche”, cioè possono agire su aree limitate perché non hanno bisogno di dover raggiungere la massa critica. Ciò, quindi, significa che non devono necessariamente avere potenze di molto superiori, come era ai tempi di Hiroshima e Nagasaki, per intenderci, quando non si potevano distruggere aree più piccole di quelle così estese che invece furono devastate e contaminate da quelle tristemente note bombe a fissione. Quindi, l’idea è usare bombe nucleari senza quasi “dare nell’occhio”, e in spregio di qualsiasi accordo internazionale…

Dunque, buona parte dei fenomeni sociologici inquisitori propri della saga della Fusione Fredda troverebbe una semplice spiegazione ipotizzando un consapevole e ben riuscito tentativo di insabbiamento di segreti militari.

 

Tutti questi fattori fino a qui discussi sono le cause principali che hanno condotto a una situazione in cui sulla Fusione Fredda si è raggiunta una “conclusione” errata e ad essa ha aderito pressoché tutta la comunità scientifica.

Inoltre, una volta formatasi l’idea che questo campo di ricerca è “patologico”, tutte le pubblicazioni in questo ambito tendono ad essere rifiutate dalle riviste scientifiche internazionali. Il normale processo di review si interrompe bruscamente.

Ciò conduce spontaneamente al mito…

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Dalla scienza al mito

Ciò che è avvenuto con la Fusione Fredda (e ciò che accade pure in altri casi) è stata la creazione di un mito: il mito che il fenomeno non sia reale. Tale mito consiste in un “racconto elaborato” che in principio potrebbe anche essere vero.

Le due principali (e alternative) attitudini verso tale “racconto” possono essere:

1. accettarlo senza approfondire seriamente;

2. approfondirlo prima di decidere se accettarlo o meno.

 

L’attitudine n. 1 si manifesta quando c’è una forte disposizione ad accettare il mito, perché esso conferma il proprio sistema di credenze.

L’approccio n. 2 è la reazione più scientifica, ma che talvolta risulta scavalcata, specie se ci sono in ballo forti emozioni.

 

Ciò conduce alla domanda chiave: verso quali altre tematiche prevale questa situazione di accettazione mitica di un giudizio non scientifico?

 

Memoria dell’acqua (“effetto Benveniste”)

In generale, qui il “problema” è dato dai comportamenti “anomali” dell’acqua, messi in evidenza da diverse ricerche sperimentali sia in ambito biologico che fisico-chimico (omeopatia, Piccardi, Benveniste, proprietà magnetiche dell’acqua e dei sistemi biologici) che non sono ancora “rientrati nei ranghi” in un paradigma accettato da tutti gli scienziati di ogni ordine e grado… D’altronde qual è attualmente una spiegazione convincente del motivo per cui alla temperatura di 100°C e alla pressione di 1 atmosfera un insieme diluito di molecole d’acqua, in fase di vapore, subisce una discontinua trasformazione della dinamica interna tale da “convincere” velocissimamente tutto l’insieme di molecole ad incrementare la densità di ben 1.600 volte, e tutto ciò insieme ad una notevole cessione di energia all’esterno? Dal punto di vista teorico è scaturita, da parte di due fisici teorici di fama, Emilio Del Giudice e Giuliano Preparata, la visione che il campo elettromagnetico sia quel mezzo interattivo attraverso cui grandi insiemi di componenti elementari si correlino su lunghe distanze, generando così una dinamica più complessa di quella fondata sull’interazione di coppie di componenti mediate da forze di corto raggio (come è invece schematizzato nella visione corrente).

Ma, chi era Benveniste? Nato a Parigi nel 1935, studia medicina e nel ’67 diviene direttore clinico alla Facoltà di Medicina di Parigi; sempre alla fine degli anni ’60 è ricercatore all’Istituto sulla Ricerca sul Cancro del cnrs e poi si occupa di patologia sperimentale in California. Nel 1970 scopre il Platelet-Activating Factor (“fattore attivante delle piastrine del sangue”). Nel 1978 diviene Direttore di Ricerca inserm (Istitut National de la Santé Et de la Recherche Médicale), e nel 1980 viene posto a capo dell’unità di Ricerca 200 dell’inserm: Immunologia delle allergie e delle infiammazioni. È autore di circa 300 pubblicazioni su riviste internazionali. È morto durante un intervento chirurgico al cuore, nei primi giorni dell’Ottobre 2004. Pochi giorni dopo, fu pubblicata una sorta di anomala commemorazione sulla rivista Nature, dai toni intollerabilmente aggressivi e dal contenuto fuorviante.

Nel caso degli esperimenti condotti da Benveniste, le osservazioni da lui fatte a partire dal 1988 e negli anni seguenti sono state:

1. attività biologica presente nelle soluzioni altamente diluite;

2. campi elettromagnetici che inducono attività biologica.

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L’acqua come ci viene data a bere

L’obiezione standard è: le soluzioni altamente diluite sono “acqua pura”, questo perché la maggior parte delle persone pensa all’acqua come un insieme caotico di molecole di H2O che si muovono a caso. Ma gli esperti dell’acqua sanno che l’“acqua pura” non è per nulla così semplice! Ci sono sempre dei cluster di molecole, e dagli studi teorici di Elettrodinamica Quantistica Coerente (qed Coerente) che abbiamo citato prima (Del Giudice, Preparata) si prevede addirittura una struttura bifasica dell’acqua. Bisogna dire che già Roentgen (il padre dei raggi x) nel 1892 propose per la prima volta che l’acqua avesse una struttura a due fasi, prospettando questo modello empirico per spiegare l’andamento della solubilità in soluzioni acquose in funzione della temperatura. Tale spiegazione fu fin troppo facilmente bollata come inadeguata, data l’impossibilità di comprendere come potessero esistere due tipi diversi di raggruppamenti di molecole uguali pur nelle stesse condizioni termodinamiche. In questo caso, invece, tale struttura scaturisce proprio dai calcoli di elettrodinamica quantistica. La fase “incoerente” è costituita da molecole d’acqua nello stato fondamentale (ground state), cioè come nella fase gassosa (vapor d’acqua); tali molecole sono disposte densamente negli interstizi attorno a dei grandi raggruppamenti in cui le molecole interagiscono coerentemente con un intenso campo elettromagnetico “autogenerato“. Tali “domini di coerenza”, con un raggio di 250 Å (25 nm) e i cui centri distano 750 Å (75x10-9m), sono “isole molecolari” che a una data temperatura sono sopravvissute all’attacco delle fluttuazioni termiche che tendono a imporre loro il disordine. La densità di queste molecole è simile a quella del ghiaccio. Tutte queste molecole oscillano in fase con un campo elettromagnetico “autogenerato”. Le molecole oscillano a tale frequenza tra il ground state e lo stato energetico eccitato E = 12.06 eV (si noti che la soglia di ionizzazione è vicinissima Eion ≈ 12.6 eV; siamo nel lontano ultravioletto). È importante comprendere che grazie a questi calcoli si possono prevedere per la prima volta teoricamente, con un approccio di base, ab initio, cioè direttamente dai calcoli di elettrodinamica quantistica, una serie di parametri sperimentalmente misurabili dell’acqua, tra cui:

- il calore specifico dell’acqua liquida (si vede che è connesso alla frazione di fase coerente che “evapora” dalla superficie dei domini di coerenza diventando incoerente);

- l’anomalia della densità dell’acqua liquida, che ha un massimo a 4 °C, ed a 0 °C è più densa dell’acqua solida, cioè del ghiaccio (scaturisce dalla sovrapposizione delle due differenti dipendenze dalla temperatura delle densità delle due fasi);

- la temperatura di ebollizione;

- il volume critico, identificato come il più grande volume molare al di sopra del quale non possono avere luogo spontaneamente processi di qed coerente;

- il calore latente di evaporazione (anche questa quantità è connessa alla frazione di fase coerente che “evapora” dalla superficie dei domini di coerenza divenendo incoerente);

- i ponti-idrogeno fra le molecole d’acqua; essi non sono la causa delle interazioni fra molecole, poiché le protuberanze delle nuvole elettroniche molecolari non esistono nelle molecole isolate; i ponti-idrogeno sono, al contrario, gli effetti della dinamica coerente nell’acqua liquida, che rimescola le nuvole elettroniche producendo così le protuberanze.

 

Si capisce come da questa visione scaturiscano possibilità sperimentali che potrebbero andare ad inquadrare tante delle numerosissime “anomalie” riscontrate da molti ricercatori, tra cui lo stesso Benveniste.

 

Tornando alla “cronaca” del discredito, cosa accadde a Benveniste? La pietra dello scandalo fu l’articolo apparso sulla famosa rivista internazionale Nature, il 30 giugno 1988, Human basophil degranulation triggered by very dilute antiserum against IgE.

In questo articolo vengono descritti una serie di esperimenti condotti utilizzando diluizioni omeopatiche del cosiddetto anti-ige (un anticorpo responsabile di reazioni allergiche), che malgrado ciò – vale a dire essendo scomparso dal solvente acqua – induceva comunque in misura statisticamente significativa la degranulazione dei basofili umani in coltura (cioè il rilascio di istamina, da cui la reazione allergica). Da ciò il tormentone di “memoria dell’acqua” con cui è passato alla storia questo celebre quanto controverso risultato sperimentale.

Ebbene, i referees di Nature non poterono trovare alcun errore nella ricerca di Benveniste! Tant’è vero che l’articolo fu pubblicato. Ma questo articolo veniva opportunamente preceduto da un altro, anonimo (ma, scritto probabilmente dal direttore di Nature, cioè John Maddox), dal titolo Quando credere all’incredibile, in cui si evidenziava l’inspiegabilità teorica dei fenomeni descritti, e si invitavano i lettori a sospendere il giudizio fino a ulteriori controlli.

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Un variegato trio di “controllori”: il mago, l’editore, il giornalista

Successivamente, il Direttore di Nature organizzò dei “controlli” che si sostanziarono nella visita, lunga una settimana, al laboratorio di Benveniste di tre ospiti ben assortiti: un famoso illusionista ed ipnotizzatore statunitense, James Randi (membro attivissimo dello csicop, Committee for the Scientific Investigation of Claims of the Paranormal, lo zio d’america dell’italiano cicap, per intenderci), appunto il direttore di Nature, John Maddox, ed il sedicente “acchiappa-frodi” Walter Stewart. Ebbene, cosa accadde alle pluriennali ricerche di Benveniste, riprodotte in laboratori italiani, israeliani, e canadesi, da ricercatori di valore internazionale che firmavano lo “scandaloso” articolo, durante tali “magici” e “ipnotici” “controlli”, effettuati da tre persone e durati una settimana, descritti da Benveniste come uno “spettacolo da circo”? Ovviamente, l’attitudine dei tre era di scovare il trucco, la frode, l’imbroglio, dovunque esso fosse, e in ogni caso essi ben certi della fallacia dei risultati pubblicati da Benveniste.

I risultati della “verifica” di questo trio, furono prontamente pubblicati su Nature il 28 luglio 1988 (rapidissimamente, cioè soltanto 28 giorni dopo la pubblicazione di Benveniste, e senza alcun “referaggio” internazionale!).

Nella sua replica su Nature, Benveniste li accusò di “caccia alle streghe” e di “maccartismo”. In effetti, ci chiediamo: questi “risultati” dei nostri tre elementi sono stati riprodotti da qualche scienziato? E quali scienziati avevano fatto da referee al loro articolo? Si tratta di domande retoriche, anche perché l’articolo, malgrado il titolo ben netto, parlava sì di “pseudoscienza”, ma non chiariva il mistero della “memoria dell’acqua”, ma neppure accusava alcuno di alcunché! Per cogliere l’attitudine dei tre non basta leggere l’articolo, ma bisogna interpretarne le intenzioni: si dichiaravano ben sicuri della buona fede di Benveniste (quale magnanimità!), però riferendosi alla coautrice Davenas, ringraziandola per i conteggi, insinuavano che non fosse in buona fede, cosa che poi Randi ha, in effetti, dichiarato esplicitamente anche se soltanto privatamente. Si concludeva poi che c’erano stati degli errori di campionatura statistica.

Inoltre, un biologo o un medico avrebbe trovato semplicemente divertente il supposto “scandalo” sollevato dai 3 “investigatori” rispetto al fatto che la ricerca era stata finanziata da una società farmaceutica interessata a quei risultati poi effettivamente ottenuti (avviene così nella quasi totalità dei casi). In quanto non-biologi, poi, i 3 “investigatori” probabilmente non erano certo perfettamente consapevoli dell’argomento su cui volevano “investigare”, e siccome non c’è stato alcun referee esperto che abbia valutato il loro successivo articolo, questo fa capire bene che valore potesse avere la nettezza delle loro conclusioni contro la ricerca pluriennale di Benveniste.

Eppure, è proprio da tale articolo che è esploso, e si è propagato violentemente, il discredito totale verso quelle ricerche!

Un articolo successivo di Benveniste, poi, che con un controllo a doppio cieco, contraddiceva le conclusioni di Maddox, Stewart e Randi, non fu accettato per la pubblicazione da Nature. Malgrado ciò Benveniste continuò a sviluppare le sue tecniche sperimentali, ma le riviste rifiutavano di pubblicare i suoi articoli.

Nel caso di Benveniste si riproduce ancora una volta lo stesso tipo di fenomeno dei casi precedentemente esaminati: si può dare una mazzata fatale ad un campo di ricerca da parte di alcuni specifici individui “ostili” che si ergono a “giudici” definitivi, e tutto ciò nel breve volgere di poche settimane! Cioè: avere potere è più importante che avere ragione!

 

Accenniamo quindi a due importanti “veicoli di potere”:

1. il “libero” server dei preprint degli articoli nel campo della fisica: arxiv.org;

2. il Comitato per l’Investigazione Scientifica sulle affermazioni sul Paranormale; csicop negli usa, ma recentemente mutato il suo nome in Committee for Skeptical Inquiry (csi), cicap in Italia, nonché filiazioni e fratellanze varie.

 

Per accennare, solo al primo punto, ciò che non sarebbe così ovvio è che c’è comunque un filtro nella pubblicazione immediata, pur non essendoci opera di review. Il filtro è connesso al fatto che l’articolo possa essere considerato “inappropriato”, concetto che spesso non è distinto da “non ortodosso”! Proprio per mettere il dito nella piaga, nel 2002 Brian Josephson inviò ad arxiv.org un articolo di review di Edmund Storms sulla Fusione Fredda, ed effettivamente – come previsto – se lo vide rifiutare come “inappropriato”, e dopo una sua richiesta di spiegazioni, il fatto fu seguito poi da incredibili arrampicate sugli specchi nel tentativo di giustificare quella scelta.

 

Per rammentare che le vere novità scientifiche nascono sempre ed inevitabilmente “strane”, e quindi sono sempre facilissime da “criticare” nei loro primi stadi, si noti che anche nel caso del primo transistor, la scoperta avvenne empiricamente presso i laboratori privati della Bell, alla fine degli anni ’40, e William Shockley, uno dei suoi principali inventori, ci lavorò un bel po’ per provare a intuire e schematizzare le basi fisiche del suo funzionamento – ma attenzione! – ciò avvenne soltanto dopo che l’aveva già inventato e sperimentato! Quindi poi scrisse Electrons and Holes in Semiconductors (Van Nostrand, New York, 1950) con cui rivoluzionò la fisica dello stato solido, e infine… gli fu assegnato anche il premio Nobel nel ‘56!

 

Gioco di società

In conclusione, e in prospettiva, propongo un piccolo gioco di società per le fredde serate d’inverno: quali altre questioni ricadono oggigiorno in questa categoria di “nuovi tabù”, e quante e quali connessioni sono presenti fra di esse?

Si prepari un ampio tabellone bianco da riempire, ma dubito fortemente che un solo inverno possa mai bastare.

 

AGOSTO 2012

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*Fisico della materia, CEO di PROMETE Srl - CNR spin off company

 

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