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09
Gennaio 2013

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La città dell'uomo

CITTÀ FUTURE. Ovvero Il futuro della città

Guido Cosenza

 

La città è la struttura dominante in cui si è materializzata la presenza dell’uomo nella società capitalista matura.

Non è stato sempre così, ci si chiede se e come questa istituzione sopravvivrà alla transizione – se transizione a nuove strutture vitali ci sarà.

Il problema è più complesso di quanto possa superficialmente apparire. Il tramonto dell’attuale modello di sviluppo è in atto; la conformazione delle strutture future dipenderà dalle modalità del trapasso – ne dovremo affrontare le problematiche – in questo articolo analizzeremo il fenomeno città iniziando dal rivisitarne il percorso.

La rivoluzione neolitica rappresenta uno spartiacque fondamentale nel corso dell’esistenza dell’uomo sul pianeta. Essa costituisce l’elemento di separazione della fase sociale primigenia, caratterizzata da una comunità suddivisa in esigue componenti stabili nel tempo (in linguaggio tecnico stazionarie), da una sequenza di configurazioni sociali successive a carattere espansivo intramezzate da transizioni il più delle volte traumatiche, collassi.

Le componenti della fase sociale primigenia costituite da un limitato numero di individui, dell’ordine di cento, avevano una scarsa interazione reciproca e migravano sul territorio alla ricerca di fonti di sostentamento.

Fruite in una zona le disponibilità per la sopravvivenza  il gruppo si spostava alla ricerca di una nuova area di insediamento, il ritorno al territorio di partenza avveniva quando le risorse di sussistenza originarie si fossero rigenerate. Ciò comportava stanziamenti temporanei e una struttura abitativa e di villaggio molto semplice che rifletteva un’analoga semplicità di rapporti e di figure sociali nel gruppo.

L’aspetto rilevante per quanto riguarda le patologie che s’innesteranno poi con l’avvento della rivoluzione neolitica è rappresentato dal carattere stabile del gruppo, nonostante la migrazione.

È importante richiamare il quadro sociale dominante in quella fase dello sviluppo della comunità umana.

Le funzioni risultano molto limitate e poco differenziate, si rigenerano di continuo; i rapporti sociali si perpetuano nel tempo immutati. La dinamica del sistema si manifesta nella proliferazione delle componenti che costituiscono la comunità complessiva, nella loro migrazione e diffusione sul territorio, ma la singola componente resta immutata, identica a tutte le altre nei caratteri principali, pur in presenza di continua accumulazione di conoscenze trasmesse oralmente e di incessante perfezionamento degli strumenti e delle suppellettili ideate; quegli esigui frammenti sociali si perpetuano col regolare ricambio dei loro costituenti. La conformazione primigenia permane quindi invariata per centinaia di migliaia di anni.

Un radicale cambiamento nella dinamica sociale avviene in occasione dell’avvio delle pratiche agricole e della diffusione dell’allevamento di animali.

I gruppi che si avventurano in tali procedure produttive si fissano in luoghi appropriati e ben presto hanno accesso a risorse eccedenti il fabbisogno della comunità. La circostanza ha delle profonde conseguenze:

  1.  Inizia l’espansione dell’agglomerato umano impegnato in nuovi metodi produttivi.

  2.  Ha origine il fenomeno dell’accumulazione di beni causato dalla presenza di eccedenze nella produzione per il sostentamento.

  3.  Si determinano profonde disparità sociali giacché l’accumulazione di risorse avviene in maniera diseguale nella comunità.

  4.  La vita sociale si arricchisce di figure e di rapporti. Si assiste alla formazione di una struttura complessa.

  5.  Si originano formazioni urbane, raggruppamenti stanziali di abitanti, sedi stabili caratterizzate da costruzioni durevoli in pietra o mattoni.

  6.  Gli insediamenti umani seguono una dinamica espansiva. L’accrescimento ha termine ogni volta che la scarsità delle risorse mette in crisi la sostenibilità dell’impianto sociale al momento vigente.

Gli abitati divengono progressivamente città, prendono corpo e si differenziano i luoghi della vita associata: il mercato, i teatri, le botteghe, i luoghi di riunione pubblica, i palazzi del potere, la rete delle interconnessioni, i luoghi di culto, le sepolture.

In definitiva si generano delle concrezioni in accrescimento continuo. Il territorio è penetrato e alterato con progressione incessante, costruzioni su costruzioni l’una addossata all’altra.

Il processo ha termine quando il sistema diventa così gravoso da non poter più essere sorretto nelle sue strutture.

Si chiude un ciclo e se ne apre uno nuovo.

Le città si spopolano restano rade zone attive, buona parte degli edifici decade e va in rovina, ma il processo di accrescimento riprende.

Per procedere nella comprensione dell’essenza della città e della sua destinazione, nella prospettiva di un prossimo cambiamento di fase storica, occorre preliminarmente intendere profondamente il processo ciclico che vive la comunità umana da quando si sono instaurate le fasi espansive del suo percorso.

Il ciclo è costituito da un inizio caratterizzato da una struttura molto semplice il cui punto di ripartenza origina dal declino della fase precedente, un tracollo che ha travolto strutture e bruciato risorse.

La ripresa si avvia con un ritmo lento che va via via accelerando e termina quando il grado di complessità della struttura risulti nuovamente carente delle risorse necessarie per il suo sostentamento, si ha nuovamente il disfacimento dell’organismo sociale, un ulteriore crollo o – molto raramente – la istituzione di misure di salvataggio che comunque non arrestano il trend espansivo.

Il decorso del fenomeno denota una funzionalità patologica suscettibile di degenerare, costituisce una dinamica che agisce in contrasto con la persistenza del sistema.

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In natura ogni organismo attraversa una fase di crescita che è temporanea, a un certo punto dello sviluppo l’accrescimento si arresta e il soggetto prosegue il suo itinerario mantenendo inalterata la propria complessione.

Schematizzando, lo stadio di crescita si protrae fino all’arrivo a un punto di equilibrio, dopo di che il sistema permane in configurazione stabile per un relativamente ampio tratto temporale.

Il fenomeno dell’accrescimento senza un termine è presente in ambito biologico come fenomeno patologico.

Il riferimento è al diffondersi in un soggetto apparentemente sano di una sindrome cancerogena. L’evento consta di un’inarrestabile generazione di cellule il cui carattere di crescita senza limite porta al decesso dell’organismo ospite.

L’analogia riscontrata qualifica l’attuale processo sociale alla stregua di un’anomalia funzionale. Sotto questo profilo la specie umana sarebbe approdata dopo centinaia di migliaia di anni di permanenza virtuosa sul pianeta a una patologia funesta che ne mina la sopravvivenza.

È oramai stabilito da indagini paleontologiche che ogni speciazione è caratterizzata da una rapida ascesa corrispondente al periodo di gestazione, una lunga stasi e infine una repentina caduta.

Per la specie umana la lunga stasi è costituita dal milione di anni intercorsi approssimativamente dal completamento della propria formazione, anni durante i quali l’uomo è vissuto di caccia e di raccolta di risorse presenti nella biosfera. L’equilibrio si è rotto circa dodicimila anni fa con la rivoluzione neolitica quando si è determinata una transizione a una nuova fase sociale non più di stasi ma di espansione indefinita.

La forma sociale che è emersa presenta i caratteri di una degenerazione neoplastica – patologia che rischia di diventare letale. L’intervallo temporale intercorso dalla sua istituzione si presenta esiguo in confronto al milione e passa di anni trascorsi dalla comparsa dell’uomo sulla terra. C’è di più si è passati da uno stato di equilibrio dinamico corrispondente alla situazione di stallo presente nell’iter evolutivo della specie a un corso caratterizzato da un progressivo allontanamento dall’equilibrio, condizione che potrebbe corrispondere allo stadio terminale della specie.

Ricapitolando, l’organismo sociale si presenta affetto da una sindrome cancerogena – ne abbiamo scrutati indizi inequivocabili. I segni del male sono ancora più evidenti all’anamnesi degli organi vitali della comunità i principali dei quali sono le città.

La città si espande e dilaga sul territorio, subisce una continua accrezione, il cemento straripa e inghiotte territori, aree verdi, le reti stradali si moltiplicano e si diramano esattamente con le stesse modalità con cui i tessuti cancerogeni si vascolarizzano. Chi viaggia in aereo o s’inerpica su alture ha di fronte la chiara immagine di un processo degenerativo che dilaga su tutto.

In questi agglomerati che crescono e che punteggiano l’intera superficie del pianeta si possono riconoscere altri segni riconducibili a funzionalità patologiche: la circolazione nella rete mediatica di segnali e informazioni inappropriati a corrispondere a un sano metabolismo sociale, stravolgimento di aree urbane, alterazioni dell’ambiente con formazione di habitat tossici, produzione distorta di beni di consumo, adozione di tecnologie atte a ottenere mutazioni organiche inidonee al ciclo biologico della biosfera.

In conclusione con la rivoluzione neolitica la comunità umana è stata contagiata da un’infermità a carattere canceroso, il decorso è stato rapido e ora ci troviamo nella fase terminale – l’intero organismo è infettato – i segnali distorti, la costruzione di un tessuto alterato, si sono propagati dappertutto.

La fase strutturale che stiamo vivendo si origina alla caduta dell’Impero Romano d’Occidente attraversa una lunga fase medioevale quasi stazionaria e raggiunge una prima saturazione delle risorse agli albori del xvi secolo, subisce un rilancio dovuto all’accesso alle risorse dell’America, la successiva saturazione avviene nel xviii secolo ed è compensata dal ricorso alle risorse fossili.

Ora siamo giunti all’esaurimento anche di queste preziose fonti accumulate nei milioni di anni di salvifico irraggiamento solare e siamo pervenuti a impattare con le pareti che idealmente limitano il pianeta.

La malattia si è instaurata nell’ultimo centesimo della presenza dell’uomo sul pianeta. Traslato sulla vita di un uomo il fenomeno si presenta come se l’individuo avesse vissuto cinquanta anni prima di contrarre negli ultimi sei mesi il male esiziale.

Chi attraversa la trama delle articolazioni di una città, nel mezzo di un frenetico, vorticoso, inane andare di innumerevoli anonimi individui, nello sperimentare tensioni, violenze, indifferenza, ostilità, sopratutto immani deprivazioni, enormi diseguaglianze, miseria ovunque dilagante, non può fare a meno di chiedersi se fosse questa la meta, l’epilogo a cui era destinato l’uomo – l’animale che aveva fatto dell’intelligenza lo strumento per affrontare il mondo. Gli strumenti che sono serviti a inserirci e ad affermarci nell’ambiente circostante hanno finito per diventare fattori di disadattamento e minare l’equilibrio con l’ambiente.

Viviamo in un groviglio di connessioni che trasmettono segnali distorti e produciamo manufatti disadatti che saranno sistemati in luoghi inopportuni – cooperiamo a un sistema viepiù contaminato e disfunzionale.

Il tessuto cancerogeno ha invaso l’organismo sociale, occorre – se ne saremo capaci – ricostruire l’intera trama nella forma di un ordito sano.

La città è questo, un cancro che avanza, il luogo in cui si producono e si diramano le tossine che avvelenano il sistema. Certo la città è anche altro ma quest’aspetto ha preso il sopravvento.

Il malanno è serio e non sappiamo se saremo in grado di rigenerare il tessuto ammalorato. Le terapie proposte, quasi interamente intese ad attuare la razionalizzazione di una crescita inopportuna, sono risultate inadeguate in quanto non incidono alla radice sulle cause delle patologie in atto: la presenza stessa di una crescita ininterrotta. È illusorio pensare di poter dominare lo sviluppo tumultuoso e generare dal caos congeniale al mercato, habitat naturale del sistema industriale, un ambiente virtuoso.

Così com’è altrettanto illusorio pensare di essere in grado di riorganizzare le cellule di una formazione tumorale in modo da realizzare un organo funzionale all’organismo sano.

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Una questione va da subito chiarita – Il brevissimo periodo fuori equilibrio vissuto dalla comunità umana in una configurazione sociale che ho classificato come patologica ha avuto esiti notevoli anche riguardo alla presenza delle città. L’uscita dall’equilibrio ha prodotto un’accelerazione enorme nel conseguimento di obiettivi avanzati, tutto ciò a un costo molto elevato e soprattutto col rischio di condurre il sistema fuori controllo. Ora è venuto il momento di utilizzare in modo diverso i successi ottenuti, occorre riguadagnare una posizione stabile che inevitabilmente corrisponde a un passo più pacato, a un incedere calmo; i traguardi sarebbero ovviamente conseguiti più lentamente, ma ciò non deve impensierire, in realtà abbiamo ancora davanti a noi quattro miliardi di anni, se saremo capaci di frenare la rapacità impressa nei nostri geni e se avremo cura di gestire in modo razionale quell’intelligenza che ci ha permesso di emergere.

In definitiva va ribadito un elemento cruciale: il sistema sta procedendo rapidamente fuori equilibrio in un contesto che non si lascia padroneggiare. È essenziale capire prioritariamente quale possa essere una struttura stabile della comunità umana compatibile col livello di sviluppo raggiunto.

Per affrontare tale tema occorre prioritariamente analizzare l’evoluzione recente degli insediamenti umani e valutare se vi siano stati dei periodi a carattere stazionario, poi, ispirandoci alle configurazioni assunte in quelle circostanze, individuare per il presente condizioni di equilibrio praticabili.

Alla caduta dell’Impero Romano di Occidente le città erano spopolate e la popolazione sopravvissuta era sparsa nelle campagne attorno alle aziende agricole, uniche entità sopravvissute, pur funestate da bande imperversanti sul territorio. Tale distribuzione più o meno uniforme va evolvendosi nel tempo, si forma una miriade di nuclei di aggregazione corredati da cinte murarie, prevalentemente a scopo difensivo. Il processo si presenta in guisa di un’iniziale ripartizione pressoché omogenea di presenze sul territorio dalle quali progressivamente si generano centri di condensazione che fungono da attrattori, agglomerati urbani che si accrescono progressivamente.

La struttura giunge a maturazione in età medioevale dando luogo a una configurazione quasi stabile: un network in costante accrescimento costituito da abitati, la cui lieve consistenza si perpetua quasi inalterata, in lentissimo accrescimento, interconnessi da tenui relazioni; inevitabile è il richiamo alla conformazione preneolitica.

È questo lo scenario che si dispiega in quel lungo periodo storico a torto classificato oscuro.

Una struttura equilibrata in cui la campagna permeava la città. Orti e giardini s’insinuavano fra gli edifici, tutti in generale di modesta dimensione.

I traffici commerciali e le attività finanziarie si concentravano in pochi centri megalitici: Londra, Parigi, Milano, Firenze, sono questi i luoghi da cui nel seguito si irradierà progressivamente il morbo dell’accrescimento, la patologia descritta in precedenza.

Nel concepire una futura configurazione di equilibrio è opportuno tener presente la struttura medioevale che abbiamo tratteggiato.

Proseguendo nella ricostruzione storica si osserva che le risorse disponibili si accrescono col procedere della razionalizzazione dell’agricoltura, con l’ideazione e perfezionamento di strumenti e con lo sviluppo dell’artigianato e sua organizzazione in funzione della cooperazione di più addetti. Contestualmente gli addensamenti urbani si estendono, gli orti e i giardini in buona parte sono invasi da fabbricati e le città cominciano a manifestare il volto malsano che predominerà e si accentuerà nell’età seguente.

È la città industriale che porta a valori insostenibili le degenerazioni della condizione urbana. Invano urbanisti, architetti, pianificatori tentano di razionalizzare un tessuto che prorompe caotico, plasmato dalla logica dello sviluppo industriale non conforme coll’inserimento equilibrato nel contesto ambientale.

A questo punto risulta chiaro che la questione principale da porre è la stabilizzazione dell’intero organismo sociale, cioè in primo luogo la determinazione delle posizioni di equilibrio in cui il sistema, e per esso gli abitati, possano stazionare per un cospicuo intervallo temporale. Tale operazione varrà a prefigurare il futuro delle città.

Va affrontato quindi il tema della ricerca delle posizioni di equilibrio che possano essere assunte da aggregati umani in un regime tecnologico avanzato e in presenza di risorse limitate.

Le configurazioni idonee a rappresentare strutture stabili dovranno di necessità avere analogie – come si è già sostenuto – con condizioni storiche in cui la spinta espansiva era fortemente soppressa, per cui focalizzeremo dapprima la nostra attenzione sul lungo periodo di stasi realizzatosi in tempi recenti.

In sintesi il criterio adottato consiste nel lasciarci guidare da analogie per evidenziare connotati che presumibilmente dovranno ripresentarsi quando in una fase successiva all’attuale si riuscisse a inibire l’accrescimento negli stili di vita e negli insediamenti urbani.

La condizione storica che porremo sotto osservazione è rappresentata dalla lunga stasi medioevale durata quasi un millennio. Quel mondo era strutturato in una serie di comunità separate in debole interazione reciproca, come precedentemente richiamato.

Erano presenti lievi agglomerati urbani in relazione stretta con la campagna circostante.

La dimensione di questi insediamenti era regolata dal bilanciamento fra le forze esterne e la pressione demografica. Inoltre esistevano pochi e radi spunti di tessuti degenerati, le megalopoli, laddove esisteva un eccesso di produzione e relativa accumulazione. Tali punti critici determineranno col trascorrere del tempo la perdita di stabilità del sistema e la divaricazione sempre più rapida dalla configurazione di equilibrio.

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La conformazione stabile medioevale assunta dal sistema dinamico induce a presumere, per analogia, che per conseguire una posizione stabile occorrerà riconfigurare la comunità secondo una struttura costituita da una trama di insediamenti abitativi di consistenza limitata e persistente in osmosi con l’ambiente circostante e in interazione reciproca debole. La dimensione dei centri urbanizzati dovrà dipendere dal rapporto fra le forze esterne e la pressione demografica. Uno dei fattori all’origine delle forze che esercitano l’azione di contenimento è rappresentato dal volume delle risorse disponibili. La circostanza che le risorse usufruibili dovranno prevalentemente limitarsi alle sole rinnovabili agisce da calmiere e va nella direzione giusta, ma occorrerà anche intervenire con provvedimenti socialmente condivisi intesi a limitare comunque il volume del prodotto sociale adeguandolo al metabolismo della biosfera e al vincolo di persistenza nel tempo della consistenza della comunità umana, in particolare delle formazioni urbane.

In altri termini per realizzare una politica di stabilizzazione sarà necessario disporre di misure che impediscano un eccesso di disponibilità.

È importante avere ben chiaro che la struttura descritta, che presumiamo dovrà in linea generale avere tratti in comune con un futuro assetto, è ispirata dalle due configurazioni di quasi equilibrio in cui la comunità umana ha lungamente transitato nel passato: la conformazione preneolitica e quella medioevale.

Abbiamo anche evidenziato i fattori che hanno garantito il contenimento degli organismi sociali stabilitisi nel passato.

Il passo successivo riguarda l’individuazione degli elementi che dovranno avere un ruolo rilevante per preservare nel lungo periodo la struttura sociale istituita.

L’analisi dei meccanismi in atto nella società presente individua nell’accumulazione di beni e nel profitto i fattori fra i più rilevanti all’origine della crescita economico-sociale e del conseguente sbilanciamento ambientale. Tali ingredienti dovrebbero conseguentemente risultare soppressi.

Un altro carattere essenziale per l’equilibrio ecologico sarà la limitata disponibilità di beni in produzione e al consumo. Al livello tecnologico raggiunto tali requisiti comportano un limitato fabbisogno di attività lavorativa per cui la società non dovrà più essere basata sul lavoro come viceversa recita la nostra costituzione.

Di necessità il lavoro sarà un’attività accessoria, circostanza che dovrà essere accompagnata da un meccanismo di distribuzione del prodotto sociale profondamente riformato rispetto all’attuale.

Queste considerazioni comportano che la città inserita nel network descritto in precedenza dovrà avere un aspetto e una struttura non compatibile con quella attuale. A funzioni diverse, a finalità differenti, corrisponderanno nuovi organi, strutture urbane inedite.

Possiamo ragionevolmente prevedere che la sopravvivenza dei centri urbani dovrà contare sulle risorse prodotte in prevalenza localmente, la globalizzazione – aumento spropositato della lunghezza di correlazione, cioè di uno degli indicatori di un comportamento critico singolare – presagisce il verificarsi di una transizione di fase sociale, denota quindi la presenza di instabilità. Del resto la limitazione a costituire rapporti sociali che prevedano trasferimenti materiali prevalentemente a breve distanza sarà una prescrizione imposta anche dalla necessità di limitare l’uso delle risorse energetiche.

L’osmosi col territorio circostante, la ridotta produzione e il consumo contingentato, il limitato uso dei trasporti cambieranno il volto delle città.

Se saremo in grado di stabilizzare il sistema presumiamo che la struttura emergente dovrà manifestare i caratteri che abbiamo individuato, tuttavia non è prevedibile come questi si attueranno. Il corso del processo genererà le nuove forme. Il compito di chi si prefigge di incidere sul futuro della comunità in cui vive è di realizzare sul campo nuove condizioni a carattere stabile e desumere dall’attività svolta conformazioni opportune contribuendo poi a conseguirle.

Noi non sappiamo come si concluderà la vicenda umana, in questa sede abbiamo solo voluto studiare l’accessibilità a organismi sociali stabili in modo da poter proseguire per un ulteriore tratto l’avventura sul pianeta.

Restano aperte due questioni: l’eventualità che si perpetuino configurazioni instabili che comportino una serie di cadute e riprese, in tal caso le città dovrebbero manifestare ancora i caratteri degli attuali insediamenti urbani e le relative degenerazioni, in accentuazione e in calo secondo l’andamento del processo, l’esito finale essendo incerto, è comunque prevedibile che tale decorso non possa protrarsi a lungo a causa dell’esaurimento delle risorse non rinnovabili e della saturazione e alterazione del territorio. In secondo luogo, presumendo di aver evidenziato con le nostre analisi alcuni elementi strutturali che ragionevolmente dovranno appartenere agli insediamenti urbani per garantirne la stabilità e l’inserimento equilibrato nella biosfera, è naturale chiedersi se esista un itinerario accessibile in grado di condurci a configurazioni sociali idonee. Quest’ultimo tema non semplice esula dall’obiettivo che ci eravamo proposti.

In una logica di sopravvivenza la trasformazione della trama sociale è processo inevitabile, le modalità per giungervi al momento sfuggono, i tentativi che si perpetuano in varie parti del pianeta sono un auspicio che possa attivarsi l’evento del superamento del trend espansivo, principale causa dell’attuale deriva fuori equilibrio.

 

DICEMBRE 2012

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