banner numero 11
11
Ottobre 2013

home - indice


 

DCHE COS'è UN LUOGO?

A cura della Redazione

 

Alessandro D’Aloia

Un luogo è uno spazio depositario di significati.

Uno spazio i cui elementi sono intrisi di patina socio-temporale.

Questa patina è un velo sottile di memoria che parla delle persone attraverso i segni delle loro civiltà anche quando esse non ci sono più. Uno spazio che parla di persone presenti o passate. Un posto in cui si sentono presenze anche stando da soli. Un registro di passaggi, di tracce sedimentate, posate sui pavimenti, sui muri, affacciate alle finestre. Scene che senti essere appartenute a diverse epoche, in cui si percepisce almeno un tempo in cui qualcuno ha lasciato un po’ di sé proprio lì. Un luogo si può leggere e capire, ti lascia immaginare le faccende che vi accadono o che vi accadevano facendoti partecipare alla sua storia.

Un luogo è un ritaglio di mondo eletto a proprio rifugio da qualcuno. Un paese, un quartiere, un vicolo, una piazza, ma anche un pezzo di paesaggio oppure un albero dove si possono leggere, incise nella corteccia, le iniziali di amanti ignoti, un sentiero in montagna, uno slargo naturale, una fontana di pietra. I luoghi sono complementi umani sulla carne della terra, sono finiture, giuste conclusioni, prolungamenti della natura, compensazioni di scavo e riporto, un gradino intagliato nella roccia viva, sottratto dove in eccesso aggiunto dove in difetto. Essi hanno un’atmosfera, una loro luce, che intesse taluni rapporti cromatici con i suoi materiali. I luoghi hanno odori, si lasciano annusare. Nei luoghi una finestra dialoga con la luce, un balcone con la piazza, una parete con la via, un cortile con l’ombra, il pavimento con i muri, i terrazzi con il cielo, i tetti con le nuvole. I luoghi ti invitano a restare, almeno a fermarti. Nei luoghi riesci a fare tardi. In questi posti vorresti i tuoi amici più intimi, quelli con i quali non servono parole. Non sempre si tratta di posti al di fuori di te. Essi possono occupare spazio nella tua anima. Nei luoghi conosci gli altri e forse anche te stesso.

 

Giulio Trapanese

I. Intanto mi domanderei cosa è uno spazio. E direi che uno spazio non è solo e semplicemente qualcosa in cui si è, ma qualcosa che si è.

II. Un luogo, in più, è uno spazio a cui si attribuisce un certo valore in un dato momento della nostra vita, con determinate persone e in date circostanze.

III. Il luogo è la verità di ciò che noi siamo in un certo frammento della nostra esistenza. Esso non è lo sfondo, ma il contenuto vero e proprio d’una relazione umana.

IV. Dunque chiamo luogo ciò che rende possibile l’instaurazione di un senso, ovvero l’alfabeto con cui si può intendere e contribuire al discorso sulla vita.

V. A nuove forme di spazio corrispondono così nuovi uomini e nuove donne, scale e gerarchie nuove di valori e di senso.

VI. Cambiamento dell’uomo e cambiamento dello spazio sono sinonimi.

VII. Un luogo è il modo storico in cui vive o ha vissuto una certa umanità.

VIII. Alla questione sui non luoghi di oggi (centri commerciali, aeroporti, ma anche luoghi virtuali in senso stretto) è difficile rispondere. Essa implica che siano esistiti luoghi veri e propri, e che oggi questi non esistano più.

IX. C’è un’intera filosofia dietro al modo in cui si considera il destino attuale dei luoghi: io non credo esistano oggi non luoghi, ma piuttosto luoghi molto diversi da quelli di prima.

X. Nel senso che oggi esistono luoghi molto diversi, così come uomini e donne molto diverse dal passato.

XI. Si può criticare il mondo presente. Ma accettando ciò che è divenuto: il corso della storia, infatti, rende diverso anche chi gli si oppone.

XII. I “nostri” non uomini e non luoghi sono comunque gli uomini e i luoghi del presente. E il “non” è un limite non per il futuro, ma per noi che guardiamo dal passato.

 

Franco Arminio

Essere significa essere in un luogo. Solo Dio, se esiste, sembra possa fare a meno di un sito. Non so cosa sia un luogo, non so parlarne dal punto di vista filosofico. Sento semplicemente che i luoghi sono minacciati, che i luoghi stanno per finire. Sento anche, almeno in occidente, un senso di morte in ogni residenza. Non abitiamo luoghi morti, ma siamo morti che abitano luoghi vivi. La mia idea è che i luoghi possano essere una farmacia. La paesologia è una sorta di terapia affidata ai luoghi. Considero il mondo esterno un grande possedimento per ognuno di noi, un possedimento più sicuro del nostro corpo e più ancora della nostra anima. Insomma, possiamo dire che questo è il tempo dei luoghi. E non importa se non sappiamo bene cosa possa significare. 

 

Dario Malinconico

È molto facile, parlando di un luogo, cadere nella dicotomia del dentro o fuori. Essere, appartenere, abitare, prendersi cura: sono tutte prerogative di un soggetto che si ritrova in un luogo e senza pretese di alcun tipo, con naturalezza, prova a impossessarsene nei modi in cui l’essere umano ha sempre tentato di fare. Al contrario: allontanarsi, partire, lasciare e disincarnarsi sono tutte azioni che portano “fuori” da un luogo colui che decide di uscirne. Dentro o fuori. Che il luogo sia fisico, mentale o simbolico ha un’importanza relativa. Perfino i non/luoghi tipici delle nostre città – private di storia e percorse da anonimo cemento – sono in realtà continuamente in bilico tra differenti tentativi di appropriazione, centimetro per centimetro, da parte di gruppi che intendono escluderne altri, seppure per lo spazio di una serata, oppure da architetti di grido e da politici con spiccata vocazione urbanistica. L’idea generale è che il luogo deve avere una sua “destinazione”, associata a una determinata antropologia stanziale. Nel caso in cui il luogo si connoti invece come luogo di passaggio, anche qui il passaggio è sempre finalizzato ad un’azione precisa: consumare, divertirsi, visitare in modi e con finalità determinate. Mi sembra, in definitiva, che ogni luogo possieda un “dentro”, rappresentato dalle azioni che vi sono socialmente consentite e accettate, e un “fuori”, ovvero ciò che lì non si fa, non perché proibito, ma perché altri luoghi vi sono predisposti in maniera più comoda all’uso. C’è però un’umanità, anch’essa molto varia ma di minoranza, che percorre luoghi su luoghi poggiando i piedi, come fanno gli equilibristi al circo, lungo le linee di confine che stanno a separarli, senza conoscere bene la destinazione di ciascun luogo, il suo “dentro” e il suo “fuori”. Sono coloro che migrano, gli stranieri, ma anche quelli che nel Settecento ci si compiaceva di chiamare semplicemente “viaggiatori”. Coloro che “oggi arrivano e domani restano”, scriveva George Simmel, però spesso inconsapevoli dei luoghi in cui hanno deciso di approdare. Mi piace pensare, forse in maniera un po’ immaginifica, che siano i soli da cui posso attendermi qualcosa di simile all’irrequietezza che sento in me: ovvero, che i luoghi restino sospesi tra il “dentro” e il “fuori”, che altri si scannino per possederli e noi, il passo leggero dell’acrobata, si possa attraversarli con occhi pieni e mente libera.

 

Massimo Ammendola

Per focalizzare cos’è un luogo ho dovuto immaginare prima cosa non lo fosse. E ho avuto una sorta di illuminazione: un luogo è qualcosa di bello. La caratteristica che deve avere principalmente è la bellezza. I luoghi brutti, tristi, spaventosi, sono non-luoghi. Una zona industriale, un assembramento di pale eoliche, un centro commerciale. Non fanno bene, non hanno una buona energia, ci esci col mal di testa e un senso di inquietudine nell’anima. In effetti, quelli che ho poco fa elencato, sono tutti spazi creati dall’uomo: è quindi più facile che un luogo sia naturale. La natura è portatrice di bellezza per eccellenza. Davanti ad un tramonto è semplice commuoversi. Ma con questo non voglio dire che i luoghi antropici non possano esistere, anzi. Ma la bellezza nelle città, ad esempio, non è proprio ovunque, al giorno d’oggi. Un luogo è tale se abbiamo voglia di starci. Dove stiamo a nostro agio, da soli o in comunità. E se la comunità è sotto attacco di un sistema economico che ci vuole separati come tanti consumatori compulsivi, ecco allora che i luoghi belli e comunitari faticano a resistere.

Ha ragione Marc Augé, antropologo francese, quando definisce non-luoghi molte delle costruzioni dove si svolge la nostra vita, quegli spazi costruiti per un fine specifico (di trasporto, transito, commercio, tempo libero e svago[1]). E i nonluoghi

 

sono in contrapposizione ai luoghi antropologici, quindi tutti quegli spazi che hanno la prerogativa di non essere identitari, relazionali e storici. Fanno parte dei nonluoghi sia le strutture necessarie per la circolazione accelerata delle persone e dei beni (autostrade, svincoli e aeroporti), sia i mezzi di trasporto, i grandi centri commerciali, gli outlet, i campi profughi, le sale d’aspetto, gli ascensori eccetera. Spazi in cui milioni di individualità si incrociano senza entrare in relazione, sospinti o dal desiderio frenetico di consumare o di accelerare le operazioni quotidiane o come porta di accesso a un cambiamento (reale o simbolico).

 

Ritrovare i luoghi, raccogliere i frammenti di bellezza sparsi per il mondo, e soprattutto ricreare i luoghi: questa è una delle sfide del futuro.

 

SETTEMBRE-OTTOBRE 2013

(torna su)

 


[1] https://it.wikipedia.org/wiki/Nonluogo