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Gennaio 2014

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Sessualità e famiglia oggi

POP-PORN

Alessandro D'Aloia

 

1. Schizofrenie sessuali dell’individuo bio-politico

L’esplosione della pornografia digitale ha assunto una valenza quantitativa talmente consistente da debordare ampiamente le possibilità di lettura del fenomeno in rapporto alla sua semplice dimensione economica. La chiave di lettura economica era forse ancora quella principale solo nel 2005, ai tempi del 4° rapporto sulla pornografia Eurispes, oggi inevitabilmente datato di fronte a trasformazioni del web neanche immaginabili nove anni fa.

Quando la pornografia in rete si pagava, il perché della sua esistenza era comprensibile. La sua diffusione, comunque limitata, aveva una chiara funzione economica. Non che ora non ce l’abbia più, ma questo è evidentemente un aspetto secondario. Oggi c’è un salto di qualità della pornografia. Essa non è più fruita da una ristretta fetta sociale, che può spendere soldi per guardare, ma si è per così dire democratizzata, è divenuta per tutti, di tutti, a portata di click. In questo passaggio si capisce che qualcosa è cambiato. Non si tratta più solo di economia, ma di sociologia, di costume, di pedagogia. Di un fenomeno attinente il costume sessuale di una società che continua a contare sulla famiglia come involucro imprescindibile dal quale non cessa però di fuggire ad ogni occasione utile. La pornografia permette alla famiglia di contenere in se stessa le fughe sessuali dei suoi componenti, i quali non hanno difficoltà a presentarsi in soggiorno morigerati e in cameretta depravati, al costo della virtualizzazione dei loro rapporti tanto familiari quanto sessuali.

 

2. Dove inizia la pornografia

La pornografia è in sostanza una rappresentazione. Essa non attiene all’atto sessuale in sé, non riguarda cioè i soggetti che vi compaiono, ma in quanto prodotto visivo da consumare, essa è destinata a chi la fruirà. Quando si parla di pornografia dunque si parla del prodotto di consumo che rappresenta un atto sessuale reale, e non simulato, ma non si parla del “porno” inteso come approccio all’atto sessuale, che è una modalità del vivere la sessualità indipendente dalla sua eventuale rappresentazione. La pornografia è perciò un prodotto grafico, prodotta come una merce, anche quando diventa gratuitamente accessibile. Pertanto essa rientra per costituzione nel novero delle arti visive. È possibile stabilire una demarcazione tra arti pornografiche e arte in generale? In altre parole è possibile definire la natura pornografica di un determinato prodotto umano? La risposta non è certo semplice, tuttavia è il caso di riportare, a questo scopo, una classificazione, joyciana, delle arti.

 

I sentimenti suscitati dall’arte falsa, il desiderio e la ripugnanza, sono cinetici. Il desiderio ci spinge a possedere, ad avvicinarci a qualcosa; la ripugnanza ci spinge ad abbandonare, ad allontanarci da qualcosa. Le arti che li suscitano, la pornografica o la didascalica, sono pertanto arti false. L’emozione estetica (uso il termine generale) è pertanto statica. La mente viene arrestata e innalzata al di sopra del desiderio e della ripugnanza[1].

 

Esiste cioè tutta una famiglia di arti definite pornografiche, caratterizzate dall’utilizzo dell’espediente del desiderio, considerato come un vero e proprio “cinematismo emozionale”, cioè un catalizzatore dell’attenzione nel processo contemplativo. Queste arti sono per Joyce pornografiche in quanto incapaci di fornire un’emozione estetica in sé, che sia in grado di condurre i fruitori al di là di un primordiale moto di tipo strettamente “sessuale”. In questi contesti la contemplazione non è, per così dire, sublimata, ma ancora allo stato grezzo, tipico della pulsione.

Esiste dunque la possibilità di una precisa linea di demarcazione tra ciò che è arte e ciò che non lo è. L’arte per essere tale, cioè finalizzata ad un’emozione di tipo estetico, non deve utilizzare espedienti di tipo attrattivo o repulsivo.

Si aprirebbe, a partire da questa posizione, tutta una possibile tassonomia delle arti nella società dello spettacolo e la conseguente analisi dell’espediente sessuale nella produzione “artistica” contemporanea, ma il discorso allontanerebbe dal tema della pornografia e delle sue funzioni sociali, che è invece ciò che sta a cuore in questa trattazione.

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3. Il primato dell’occhio freudiano e del medium cinematografico nella stimolazione libidica

A livello “seduttivo” il desiderio per una persona può utilizzare tutti i sensi, ma può agire, ed agisce, soprattutto attraverso lo sguardo (la vista, l’occhio). Lo dice anche Freud:

 

L’occhio è forse la zona più lontana dall’oggetto sessuale, ma è anche la zona che, durante la corte fatta ad un oggetto, è soggetta ad essere la più frequentemente stimolata dalle particolari qualità dell’eccitazione, la cui causa, quando nasce da un soggetto sessuale, noi chiamiamo “bellezza” (per la stessa ragione i meriti di un oggetto sessuale sono definiti “attrazioni”). Questo stimolo da un lato è già accompagnato dal piacere, mentre dall’altro porta ad un aumento dell’eccitamento sessuale o, se ancora assente, lo crea[2].

 

Il veicolo principale dell’innesco di un desiderio sessuale è il senso visivo. Se così è, si capisce bene la potenza della pornografia digitale, che investe, mediante il canale video, i principali sensori libidici del soggetto, il quale è preso in un vortice che lo coinvolge somaticamente e non lo lascia più fino al momento dell’atto, nella maggioranza dei casi, masturbatorio.

La prevalenza dell’occhio, nel processo di seduzione che attiva la libido, nel senso proprio di processo di ricerca del soddisfacimento di tipo sessuale, assegna al medium cinematografico, cioè l’immagine in movimento, il ruolo privilegiato per l’innesco di una sequenza chiusa che va dalla creazione alla soddisfazione dell’eccitazione.

Le immagini statiche sono invece efficaci nell’innesco e come flash preparatori della sequenza completa.

Questo fatto, ci fa comprendere anche perché la pornografia sia esplosa, come ora, dal momento in cui l’avvento della banda larga, ha permesso l’immissione e il consumo in rete di quantità di dati sufficienti alla fluida riproduzione di videoclip.

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4. Economia libidica: cicli di accumulazione e rilascio e funzione dello stillicidio pornografico

Non si cerca la pornografia, perché è la pornografia a trovarti, come Saviano dice della cocaina.

La giornata trascorre tra continue incursioni dall’esterno sui sensori del piacere. Dalla pubblicità televisiva a quella sul web, dai video musicali alle notizie di gossip che contornano l’accesso alla mail e così via. Da non dimenticare che Freud dice che «Questo stimolo [proveniente dallo sguardo] da un lato è già accompagnato dal piacere, mentre dall’altro porta ad un aumento dell’eccitamento sessuale o, se ancora assente, lo crea». In sostanza durante la giornata la stimolazione sessuale, volta a creare l’eccitamento sessuale, agisce continuamente come una macchina, alterando il normale ciclo di accumulo della tensione libidica. Il desiderio sessuale è continuamente stimolato, drogato, oltre il suo naturale ciclo, dallo stillicidio di immagini e allusioni e dato che si tratta di un processo fisiologico in cui l’avvio implica una soluzione, un soddisfacimento, quasi come la fame o la sete, la pornografia finisce per costituire l’approdo naturale di una libido di massa stimolata dall’esterno.

La libido è energia vitale. Essa rientra in un processo complesso. Tuttavia tale processo libidico si innesca mediante l’attivazione di meccanismi somatici che hanno a che vedere con la produzione naturale nell’organismo di sostanze come la dopamina ed altre, responsabili dell’alterazione dello stato emotivo e della stimolazione muscolare di organi e zone erogene. Questo per dire che c’è una complessa chimica libidica che una volta innescata deve poi sciogliersi in un appagamento di tipo sessuale.

C’è poi da considerare il problema dell’accumulo ciclico dell’energia libidica. Questo accumulo, anche se non drogato, crea da sé ciclicamente le condizioni ideali per l’irruzione della pornografia quale metodo sistematico di stimolazione sessuale volta al rilascio della tensione accumulata. La pornografia devia il soggetto dalla ricerca di impegnativi processi di corteggiamento e di ricerca, i quali possono anche non risolversi positivamente, e lo instrada verso la masturbazione, che è sì un surrogato dell’atto sessuale vero e proprio, ma è anche pratica piuttosto comoda e rassicurante[3]. La masturbazione pornografia costituisce una sorta di corto circuito nel processo di rilascio della tensione libidica accumulata, la quale trova un canale molto semplice per sfogarsi. Come in un processo energetico qualsiasi, l’energia passa dove trova il canale con minore resistenza.

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5. Dove finisce la pornografia: porno-cultura

Il 7 novembre 2013 alla trasmissione televisiva Il grande cocomero condotta da Linus, su rai2, in successione al tavolo delle interviste si è seduto prima F. De Gregori e poi Valentina Nappi. Cioè nello stesso calderone sono di scena prima il grande cantautore di trentennale esperienza, espressione di una cultura popolare, ma considerata di alto profilo, e poi la ventenne pornodiva napoletana, assurta a personaggio da intervista, in quanto capace di spiegare in modo schietto, e persino convincente, la sua scelta di vita. Il format televisivo eleva ugualmente a fenomeno degno di interesse tanto l’opera musicale di un De Gregori, quanto la prestazione pornografica di una Nappi. È un lapsus terrificante, ma capace di squarciare il velo della condizione attuale della cultura italiana, una cultura che non distingue più l’arte dalla pornografia. Se in passato A. Warhol elevava la merce e la comunicazione pubblicitaria ad arte, oggi è la volta della pornografia. Si è consumato il passaggio dal pop al porno. È la porno-cultura.

Se con questo si può riconoscere che la pornografia non interessa solo l’ambito sessuale e constatare come da quel centro essa si irradi nella società fino a degenerarne la cultura, bisogna analizzare anche un aspetto implicito di questo state di cose, in cui la regola sottesa è che non vale il modo in cui i soggetti guadagnano il loro “quarto d’ora di celebrità”. Questo passaggio del “non-valore del merito” è alla base della degenerazione di ogni valore. Ma in una società in cui i valori sono de-valorizzati non resta che la prostituzione di massa. La porno-cultura è l’ambiente in cui cresce la prono-socialità, intesa come la pedagogia dell’essere proni.

Nella porno-cultura il soggetto prono non solo ha pari dignità del soggetto “a schiena diritta”, ma ha addirittura più visibilità. Con questo passaggio la schiera dei proni assurge a categoria tra le altre, rivendicando il proprio diritto di esistenza e la propria dignità. Nella porno-cultura è bandita la vergogna.

In queste condizioni l’appetibilità dei soggetti si configura come una corsa al ribasso verso sempre nuove soglie di umiliazione personale, un po’come accade quando si parla delle rinunce a cui il mondo del lavoro deve sottostare se vuole “attrarre” gli investimenti di capitale. Come a dire il capitale va verso chi è disposto ad offrirgli di più. Un esempio tra gli altri della sussunzione della personalità umana alla regola della valorizzazione capitalistica, nonché una possibile spiegazione dell’abbassamento costante dell’età del divismo pornografico. Da Moana Pozzi nei cinema a pagamento a Valentina Nappi gratis nel web e parificata a personaggio da intervista televisiva.

Ancora una volta l’Italia sembra essere il centro di questa parificazione pubblica dei talenti più disparati, con la sua cultura da salotto televisivo in cui la curiosità per ogni fenomeno degenere, ancorché travestita da intellettualismo democratico, di fatto giustifica e sdogana il degenere.

Il problema è che anche chi pensa invece di avere qualcosa da dire, può indulgere a modalità comunicative e rappresentative che ammiccano a questo tipo di brodo culturale generalizzato.

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6. Pedagogia porno e assenza del femminile

In passato la “pornografia analogica” era consumata con la coscienza di fruire una rappresentazione, qualcosa di non vero. Qualcosa di estremo, di non riproducibile nella propria sessualità. Con la pornografica digitale e la sua pervasività, lo iato tra finzione e realtà scompare e perciò la rappresentazione si fa modello di realtà. La sessualità diviene essa stessa pornografica.

Oggi, almeno per i giovanissimi, la rappresentazione pornografica precede sempre l’esperienza sessuale. Per questo motivo essa è, in prospettiva, il principale strumento pedagogico di massa nella società dello spettacolo. Così la perversione, sempre presente nell’atto rappresentato, consumato cioè per essere rappresentato e non per essere esperito, diventa il modo sessuale di milioni di adolescenti, i quali si fanno della sessualità un’idea completamente artefatta, assumendo nel loro intimo comportamenti sessuali mutuati dallo schermo.

Uno dei maggiori paradossi di questa condizione è “l’assenza del femminile”. Il mondo pornografico è un mondo in cui a parte la glabra nudità dei genitali femminili non resta nessuna traccia della femmina. Nella pornografia tutto è maschile e le donne che vi appaiono sono solo proiezioni di un desiderio maschile del tutto sfrenato. Nulla resta in piedi del desiderio femminile, questo reperto archeologico. L’immaginario sessuale femminile contemporaneo è plasmato su quello maschile. C’è da dire che la pornografia non è responsabile del rapporto storico della donna con la propria sessualità, tuttavia essa si innesta su questo rapporto senza considerare l’esistenza di un desiderio femminile inespresso, per non dire represso. Non c’è da scandalizzarsi per la posizione della femmina nella rappresentazione pornografica. Sono solo maschi quelli che si vedono.

Questo è un passaggio notevole, dal momento in cui attuandosi un divenire maschi delle femmine, si nega all’umanità una qualsiasi linea di fuga verso un suo divenire donna. Semplicemente la femminilità viene cancellata nella caricatura maschile della femminilità, vale a dire, dall’idea che il maschio ha della femmina e in altre parole il “dover essere” femminile.

Questo è già un primo effetto politico-sociale del proliferare dell’immaginario pornografico.

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7. Civiltà de-sublimata

La repressione assume una nuova veste. Infatti, seppure importante il discorso sulla rappresentazione femminile nella pornografia, quello che è in questione non è la repressione della donna, ma il valore funzionale della pornografia nei confronti della società intera. La pornografia è indirizzata al suo pubblico, non ai suoi attori. In questo senso si può comprendere come in relazione alla società non si tratti più di repressione “violenta”, né di repressione “dolce”, ma di repressione “piacevole”, con orgasmo. Cioè nella società del porno-capitalismo l’uomo si accorda con piacere, godendo, ai dettami sociali fondati sulla conservazione delle condizioni di subalternità. In questo presupposto masochistico egli sperimenta il piacere masturbatorio, verso il quale ogni cosa lo indirizza.

Anche la sessualità ne risulta addomesticata e non solo nel senso di essere servita a domicilio. Si tratta di una sessualità de-sessualizzata, privata del rapporto con l’altro. I corpi non sono più a contatto, sono decurtati della loro fisicità e contemplati come puri oggetti estetici. In questo tipo di sessualità la copula diventa il surrogato della masturbazione[4].

È un cambio di paradigma notevole: la principale energia vitale dell’uomo viene ridotta a passatempo infecondo.

Per la prima volta lo spettacolo colonizza la sfera più intima della specie umana, la sua sessualità, dettando paradigmi comportamentali in ambiti che altrimenti sfuggirebbero alle norme sociali. Se la sessualità è una dimensione del desiderio essa è esterna al dettato normativo. Essa è espressione dell’inconscio, abbandono al desiderio, regno della libertà e, all’estremo positivo, del porno senza la sua grafia. La sessualità è oscena, nel senso di “fuori scena” (C. Bene), irrappresentabile. Oggi invece l’osceno è il centro della scena e questo segna la fine dell’osceno (e della libertà).

Con la pornografia lo spettacolo colonizza finalmente la sfera più primitiva dell’inconscio realizzando la normalizzazione del perverso. Dopo questo passaggio il sesso non è più dominio dell’intimità della persona, esso non riserva sorprese. Tutto diventa rappresentazione, prestazione, maschera, anche nell’unico atto relazionale in cui l’inconscio dovrebbe esprimersi nell’abbandono a se stessi. La sessualità non è più un processo di conoscenza di se stessi e degli altri.

In realtà la pornografia come orizzonte del porno-capitalismo non è altro che la metafora del rapporto masturbatorio della specie umana verso il mondo.

Qui il sogno erotico è desiderio di masturbazione, ovvero desiderio del desiderio e non del suo oggetto.

Questa che potrebbe essere già una conclusione ha bisogno però di essere argomentata meglio.

Per farlo bisogna riagganciarsi al concetto freudiano di sublimazione.

La sostanziale correttezza della teoria della sublimazione era sostenuta anche da W. Reich[5], anche se è facile comprendere come essa astragga, nella sua trattazione generale, dalla masturbazione.

Allora in tutto il meccanismo descritto, soprattutto quando si è detto dello stillicidio pornografico e della conseguente alterazione dei cicli naturali di accumulo e rilascio della tensione libidica, la principale cosa che resta per la strada, in quest’ondata masturbatoria di massa, è proprio la possibilità di indirizzare l’enorme mole di energia vitale a fini diversi da quelli sessuali. Per Freud la civiltà è il risultato di un processo di sublimazione dell’energia vitale, ovvero della capacità dell’attività umana di volgersi ad altro dal puro appagamento degli istinti primordiali[6].

Sostanzialmente se la libido è energia, la pornografia non fa altro che bruciare a vuoto quest’energia attraverso la masturbazione e l’uomo si ritrova stanco di fronte al suo mondo. Nel processo di de-sublimazione pornografica della libido, la pratica masturbatoria dell’uomo ripiegato, letteralmente, su se stesso[7] lo rende sterile verso la realtà che lo circonda. La pornografia è anti-ideologica è contro la volontà di cambiare il mondo. È come se l’uomo avesse rinunciato a fecondare la natura circostante con il suo apporto creativo.

La masturbazione brucia energia e rabbia. La masturbazione corale brucia rabbia sociale. Il dilagare della pornografia coincide con il sonno della ribellione sociale.

Da questo punto di vista l’avvento della rete e della pornografia digitale rappresentano la maturazione tecnologica dell’era sterile della civiltà.

 

NOVEMBRE 2013

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[1] J. Joyce, Ritratto dell’artista da giovane, Newton Compton, Roma 1995, pag. 182

[2] S. Freud, Tre saggi sulla sessualità, Newton Compton, Roma 1993, p. 73.

[3] «Già, perché alla lunga la masturbazione indebolisce anche i rapporti con la realtà; la facilità con cui si può ottenere soddisfazione rende spesso incapaci di condurre una lotta vivificatrice per la ricerca di un partner adeguato».

W. Reich, La rivoluzione sessuale, Erre Emme, Roma 1992, p. 196.

[4] «Grodreck precisa essere la copula un surrogato della masturbazione e non viceversa».

C. Bene, Quattro momenti su tutto il nulla, programma televisivo, Rai Due, 2001.

[5] W.  Reich, cit., pp. 63 e 65.

[6] S. Freud, cit., pp. 92-93.

[7] Sarebbe il caso di riflettere anche sulla parallela esplosione dell’Io di massa, nella continua elaborazione di se stessi che il mondo dei social network ha determinato. In questa ossessiva auto-rappresentazione dei soggetti ciò che si perde è, in effetti, l’interesse dello sguardo verso l’esterno, verso l’altro da sé.

Cfr. M. Di Leva, Instagram, la Community e il piacere condiviso, in «Città Future» n. 11.