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N.d.r. sull'attualità 

PULIZIA OLIMPICA

Alessandro Paolo

 

Di ritorno da Calais, condivido con voi frammenti di un'esperienza fortissima...


Sulla porta di uno stabile abbandonato, tra nomi di paesi (Chad, Somaliland) e imprecazioni, una frase ricalca una verità terrificante: «It's hard living in the white man'z world». Sotto i portici dell'edificio non lontano dal tunnel che buca la Manica, uomini e giovani d'ogni parte del mondo dormono su cataste di cartoni avvolti in coperte inzuppate di pioggia; una tenda nel prato lì davanti si mimetizza tra il verde dell'erba... Quasi cento persone, uomini per lo più, palestinesi, albanesi, afghani, somali, sudanesi, eritrei, iraqeni, attendono pazienti il proprio turno ad ogni pasto offerto da associazioni e collettivi locali. Restano a Calais settimane, se non mesi, a tentare la sorte sotto i camion che attraversano il canale; «in sei giorni che sono qui ho già provato due volte, ma non mi è andata bene», mi racconta un palestinese ventisettenne di Betlemme... La polizia non riesce a perquisire tutti i camion che affollano l'arteria dell'Europa della libera circolazione di merci e capitali, soprattutto nelle ore notturne, quando la roulette russa si ripete incessante... Sensori, raggi infrarossi, macchinari per il rilevamento di battiti cardiaci, anidride carbonica e calore corporeo[1], si accompagnano in questi ultimi mesi di preparativi olimpici a misure di sicurezza estreme, nostalgie londinesi da stato d'assedio: droni, navi militari,artiglieria, contraerea, sistemi di sorveglianza da grande fratello, 14.000 soldati (più che in Afghanistan). Emblema contraddittorio di liberal-democrazie totalitarie, la piazza di Calais ospita ogni sera concerti per intrattenere gruppuscoli di turisti che attendono l'accensione della fiamma: un teatro dell'assurdo si sviluppa in una città fantasma, che senza i migranti perderebbe ogni sembianza umana.

 
Alle nove di stamane io, Estelle (amica francese dei Vosgi) e Djuk (militante tedesco della rete No Border), ci rechiamo alla periferia di Calais, in un complesso di edifici in mattoni, tra spazzatura e frammenti di tegole, noto come «Sudan house», dove decine di sudanesi passano la notte su giacigli di fortuna. Motivo della visita: fare chiarezza sulla vicenda di un ragazzo sudanese di 28 anni trovato morto in un canale nei pressi della cittadella pochi giorni prima. La versione dei giornali non ce la dava a bere: perché mai un migrante dovrebbe avvicinare un gruppo di giovani francesi, rubare un cellulare e, inseguito, mettersi in salvo saltando in un canale? La diffidenza del ragazzo in canotta che viene ad aprirci non ci rassicura. Poco dopo, a colazione, un uomo sudanese sulla cinquantina, testimone oculare, ci spiega in arabo che la polizia è pesantemente coinvolta in quanto accaduto e che gli articoli apparsi (tanto per la descrizione della dinamica, quanto per il nome del ragazzo) non sono altro che pura disinformazione razzista. Domani altri testimoni oculari si recheranno alla sede No Border per fornire ulteriori dettagli. Il piccolo ufficio del collettivo straripa di volantini, poster e borsoni; nella stanza accanto, con un enorme foro nella parete, letti a castello, sacchi a pelo e divani. Vietato dormire nell'enorme garage lì accanto, con tanto di cucina, bicicletta, computer e libreria, preso in affitto per evitare sgomberi. Attivisti d'ogni parte d'Europa si avvicendano in questa centrale della dissidenza anarchica, impegnati da anni a documentare le violenze arbitrarie della polizia di frontiera (centinaia negli ultimi anni), a fornire sostegno legale e linguistico, a occupare spazi dove si possa dormire, a respirare il clima di esistenze precarie che nonostante le costanti minacce continuano a sorridere e giocare. Un uomo afghano, tra un pasto e l'altro, mi racconta di aver lasciato casa undici anni fa' e di essere arrivato a piedi in Turchia e di lì Grecia e Italia. Dall'Italia, in effetti, sembrano essere passati in tanti. «Sta attento perché qui a Calais ci sono molte persone che non hanno un buon ricordo dell'Italia», mi aveva avvertito un'attivista svizzera al mio arrivo. Un giornalista di Milano, appena arrivato dal confine greco-turco, ronza attorno ai migranti corteggiandoli per foto e storie con cui rimpinzare il proprio programma radiofonico. Una documentarista freelance di Trieste, invece, da tre anni a Calais, segnata in volto da insonnia e stanchezza, dorme spesso all'addiaccio con quanti non trovano un tetto. Un uomo albanese mi vomita in volto il suo disprezzo per il suo presidente; ha lasciato la terra che coltivava perché pesticidi, fertilizzanti e carburante per il trattore erano diventati troppo costosi e vendere i prodotti al supermercato troppo poco remunerativo...

Nonostante dei poliziotti non abbia visto neanche l'ombra, i segni di una presenza a dir poco ingombrante sono molteplici; dalle foto di auto e volti di poliziotti in borghese sulle pareti dell'ufficio No Border ai racconti di un raid di alcuni giorni fa in cui trenta persone sono state arrestate non per lo status di sans-papiers, ma per aver occupato illegalmente una proprietà privata (aggravante penale approvata da poco dal parlamento francese), alle diffidenza di chi è avvezzo a strade alternative per svicolare da possibili imboscate, ai racconti di poliziotti che sequestrano le coperte.

Depressione, solidarietà, impotenza, ammirazione, sconcerto, convivialità: un incrocio di vite condensato in due giorni infiniti...

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Trovate di seguito la traduzione di un volantino della rete No Border che sarà distribuito a fine luglio in occasione dell'inizio dei giochi olimpici...


«Fermate la pulizia olimpica a Calais»

I preparativi in vista delle Olimpiadi hanno visto un rapido aumento della brutalità della polizia contro le comunità migranti a Calais e quanti cercano di aiutarle. Diverse persone sono state preventivamente arrestate e percosse durante le visite olimpiche ufficiali, con la chiusura di molti spazi occupati e l'espulsione di migranti e simpatizzanti dalla città.

Calais sarà durante i giochi un «villaggio olimpico». Le autorità hanno cominciato a pulirne le strade dagli «indesiderati», lanciando una duplice operazione: da un lato un'artificiale campagna «Date il benvenuto al mondo» per incentivare il turismo di atleti e spettatori diretti a Londra, dall'altro scatenando la repressione sui migranti e cacciando via stranieri che non hanno soldi «cash» da spendere.

Più di cento milioni di euro sono stati pompati nella regione per i giochi olimpici, costruendo palestre e strutture turistiche. Nord Pas-de-Calais vi ha ospitato nell'ultimo anno 47 delegazioni straniere, comprese delegazioni dal Pakistan e dal Senegal. 

È amaramente ipocrita constatare che il consiglio comunale sta lavorando con i tour operator, pubblicando persino una guida su come attrarre turisti, organizzando eventi culturali, balli e spettacoli ogni sera per intrattenere i vacanzieri, mentre al tempo stesso la polizia e il sindaco rendono la vita impossibile ad altri stranieri, cacciandoli via dalle loro case in strada.
Molte persone da Sudan, Etiopia, Eritrea, Iran, Afghanistan e Iraq sono bloccati in questa città, che rappresenta un imbuto per migranti e rifugiati che tentano di raggiungere il Regno Unito. I migranti vivono costantemente maltrattamenti e abusi dalla polizia che pattuglia la città e il porto. Negli ultimi anni ci sono state molte pressioni affinché Calais diventasse «migrant free». Questi ultimi mesi, in particolare, hanno conosciuto un aumento degli attacchi agli spazi dove queste persone dormono, rendendone la vita molto difficile.

Le Olimpiadi sono un enorme impresa commerciale e spettacolarizzata su scala globale, un paradiso per le corporation da cui sono sponsorizzate (come Coca-Cola, McDonald's, British Petroleum, Dow Chemicals e Group 4 Security), tra le peggiori compagnie colpevoli di innumerevoli crimini contro popolazioni e ambiente in tutto il mondo.

Londra sarà militarizzata durante le Olimpiadi, con il governo che mostrerà il suo arsenale di tecnologia draconiana e misure di sicurezza pervasive giustificate ancora una volta dalla minaccia del terrorismo. Le città saranno a disposizione di polizia e imprese private di sicurezza che occuperanno le strade, che manovreranno droni volanti per la sorveglianza aerea, oltre a cecchini sui tetti e artiglieria contraerea, il tutto per tutelare l'industria olimpica.

Le Olimpiadi sono un chiaro riflesso e rafforzamento del privilegio, rendendo manifesta la divisione tra coloro che traggono beneficio dai giochi e quanti ne sono malamente allontanati.
La storia dei giochi è una storia di complicità con le oppressioni, dalle olimpiadi di Berlino nel 1936, quando fu fatto uno sforzo immane per ripulire le strade da tutti gli indesiderati - prevalentemente zingari e nemici politici - arrestati preventivamente. Lo stesso Hitler usò l'evento per installare una forma primordiale di sorveglianza elettronica, che non ha nulla da invidiare alla sorveglianza da «grande fratello» attiva oggi su Londra. Per non parlare del massacro di Tlatelolco, quando il governo messicano ordinò di far fuoco su un corteo antiolimpico, uccidendo centinaia di persone, alla vigilia dei giochi del 1968. Le ultime Olimpiadi in Cina nel 2008 videro arresti sistematici di attivisti politici nelle settimane precedenti, con torture e maltrattamenti di dissidenti. Ed oggi, arresti preventivi e sgomberi tra Londra e Calais rientrano nel piano di pulizia delle città per fare strada alle elites olimpiche.

Libertà di movimento, libertà di soggiorno, libertà di vita...per tutti!!!

Boicotta i giochi olimpici!!!

Per ulteriori informazioni: http://calaismigrantsolidarity.wordpress.com

AGOSTO 2012

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[1] Esattamente come nel bellissimo film del regista francese Philippe Lioret, intitolato Welcome.